21 Gen 2022

La violenza abita i corpi e diventa danza: la ricerca di Barbara Altissimo

Prosegue fino a mercoledì 26 gennaio la residenza d’artista In-Violenza, un cammino di ricerca artistica sul tema della violenza, realizzato presso l’I.I.S. Primo Levi di Torino nell’ambito del progetto MEDIA DANCE della Lavanderia a Vapore. Il percorso si propone di affrontare, con ottica plurale e condivisa, la delicata questione, vedendo artisti, medici, pedagogisti e docenti uniti nel tentativo di elaborare insieme nuovi approcci didattici, grazie al linguaggio delle arti performative. Barbara Altissimo, titolare della residenza (curata con Doriana Crema, Fabio Castello e Francesca Cola, affiancati da Alessandro Tollari, docente di Lettere nelle scuole secondarie) ha scelto di rendere testimonianza, sotto forma di dialogo, della propria esperienza come artista, coreografa e regista.


Da dove nasce, all’interno del tuo percorso di ricerca, l’urgenza di esplorare un materiale così drammatico? E come quest’ultimo si è trasformato poi in forma artistica, anche grazie all’apporto delle comunità che hai incontrato nel tempo?

La violenza, purtroppo, è una materia che nella mia vita ho conosciuto e incontrato. Arriva dunque da lontano il desiderio di indagarla. L’occasione si è poi concretizzata anni più tardi, nel 2018, grazie a un progetto sulla violenza di genere che mi fu sottoposto dal Cottolengo di Torino, insieme al Ministero delle Pari Opportunità. VERSUS – questo il titolo – esplorava la violenza sulle donne da diversi punti di vista. A noi, ossia a me e a Liberamenteunico, venne richiesto di intervenire a livello di pratiche teatrali. Accettai, ma scelsi di lavorare raccogliendo una prospettiva inusuale, quella degli uomini-carnefici. È così si aprii la prima finestra di ricerca.

Uno spiraglio che ha lentamente dischiuso un universo di possibilità…

Sì, la prima tappa è stata appunto VERSUS, che concretamente permetteva di offrire a un gruppo di uomini due ore settimanali di educazione alle pratiche di palcoscenico. Lo spazio di formazione e creazione era aperto e libero, nessun limite prestabilito: chi voleva, poteva inserirsi ed eventualmente tornare. Non tutti lo fecero. Durante l’apprendimento, i partecipanti snocciolavano le proprie storie di violenza. Così è nato 3 km di freddo, una sorta di spin-off di VERSUS. Ci piaceva l’idea di poter organizzare una restituzione di quanto elaborato, condividendo con la cittadinanza – per via del suo alto valore civico – l’importanza di quei contenuti. La pandemia ovviamente ha impedito qualsiasi possibilità di spettacolo dal vivo: perciò abbiamo optato per la realizzazione di un documento video, un cortometraggio. Qui – e veniamo alla drammaturgia – le diegesi, i racconti di quegli uomini, emersi nel corso di oltre 2 anni di lavoro, sono stati raggruppati, condensati e montati, diventando parole. Anche le immagini evocate sono raccolte dal medesimo bacino: alcune prodotte da noi, altre regalate da loro.

3 km di freddo viene presentato pubblicamente il 25 novembre 2021, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nel quadro dell’iniziativa interistituzionale IN MY NAME. A fungere da apripista è stato, esattamente un anno prima, Rebel/Verso la luce. Me ne parli?

Volentieri. Il corto è stato ultimato nella primavera del 2021 e proiettato poi al Polo del ‘900 a novembre. Alla stagione precedente risale invece Rebel, altra tappa fondamentale del mio percorso di ricerca attorno alla violenza. Era l’esito di una residenza mensile all’I.I.S. Galileo Ferraris di Settimo Torinese. In quel frangente avevo lavorato con una classe proprio sulla tematica di genere: fu esperimento incredibile – direi, pressoché pionieristico – perché creammo una performance pur essendo stati perennemente online, senza esserci mai visti o toccati. I contenuti emersi durante quel passaggio sono poi stati integrati nella “sceneggiatura” di 3 km di freddo: penso per esempio alla sequenza dei petali di rosa, lanciati in area e riportati poi a terra con un particolare effetto. Quell’immagine, solo per citarne una, arriva proprio da Rebel. Era stata un ragazzo a evocarla, a donarcela.

Gli studenti hanno dunque nutrito la tua creazione.

Assolutamente. In quel caso insistetti molto sul tentativo di recuperare il movimento della violenza, i suoi suoni. Chiesi cioè alla classe di meditare, di far penetrare il termine violenza all’interno del proprio corpo. E questa parola li ha abitati, producendo azioni differenti in ciascuno. Questi movimenti li abbiamo poi assemblati e sono diventati una danza. Davvero, quindi, la violenza è stata abitata dai corpi e danzata. In effetti le arti performative possiedono un grande vantaggio: permettono di raccontare, esperire, vivere temi urgenti, sia pur ponendosi – in un certo senso – in terza persona, prendendone le distanze. È un dato, questo, estremamente importante: innanzitutto perché, sia che la violenza sia stata vissuta, sia che al contrario sia stata praticata, il teatro permette di immaginare un altrove, ossia di verificare l’idea che non siamo soltanto quello ma anche molto altro. Una simile concezione amplia gli orizzonti, offre possibilità. Troppo spesso, infatti, vittima e carnefice si identificano unicamente nel proprio ruolo: e ciò annulla l’eventualità di essere altro, altri.

È il potere antico della catarsi: purgarsi senza vivere direttamente pulsioni viscerali e distruttive.

Il senso è esattamente questo: premetto che da sempre la mia poetica e il mio linguaggio traggono linfa dal “materiale umano”. Da quando cioè ho iniziato a immergermi nel mondo della creazione, ho sempre attinto copiosamente alla narrazione umana che scaturiva dai corpi e dalle parole di chi mi circondava. Un magma che io poi, in qualche modo, rimaneggio, setaccio e infine combino, impasto. Io lavoro spesso con gli altri: sento che il mio compito sia costruire situazioni che rendano le persone disponibili a “far uscire”, emergere, le proprie verità. Dopodiché non faccio altro che sistemare, collocare all’interno di una cornice. Non sono però – altra premessa fondamentale – una terapeuta, bensì un’artista, sia pur fermamente convinta del valore terapeutico che l’arte, nella sua essenza, possiede. Non serve altro. Il teatro, così come la pittura, permette il riaffiorare di una memoria, di un vissuto spesso congelato, di cui però il corpo reca traccia. L’arte si configura pertanto come un terreno di possibilità, in cui si lascia libera di fluire una sensazione, una percezione, un ricordo. E questo dischiude universi, mondi possibili. Quando tu “giochi” (to play, ossia “reciti”) dei ruoli, sei ciò che interpreti ma anche molto altro.

Veniamo così a In-Violenza, un cammino di ricerca cominciato qualche giorno fa al Primo Levi di Torino…

Il tema della violenza è altamente complesso e trasversale. Come dicevo, io ho sperimentato solo una delle sue varie declinazioni, forse la più “rumorosa”. Ma la violenza si cela ovunque. Spesso non si vede, non fa rumore. Quindi la mia ricerca, con VERSUS, non era che appena agli inizi. Il desiderio – realizzato grazie alla Lavanderia a Vapore – era tentare di allargare questo spettro. Ho potuto così spostare il riflettore su una dimensione più vasta. In realtà, è già la modalità stessa con cui stiamo affrontando la residenza a denunciare una certa “violenza”, una costrizione – seppur inevitabile – sui corpi: pensiamo al modo di recitare, cantare e danzare, con i corpi costretti dalle mascherine. È necessario, ma rivelatore. A livello concreto, stiamo cercando di lavorare su materiali coreografici emersi da parte degli studenti: anche nel caso di In-Violenza la proposta è stata far abitare i corpi da questo tema, annotando movimenti che possano tramutarsi in partitura. In parallelo, stiamo agendo su frammenti teatrali, sempre composti dai ragazzi, riuniti per l’occasione in coppia o in trii o anche da soli.

Che cosa mi porto dietro di questi primi giorni di residenza? Beh, innanzitutto l’amara consapevolezza che la violenza sia un tema assai vicino alle loro vite. I movimenti che producono e le tracce di teatro composte denunciano una conoscenza assai approfondita del tema. In seconda istanza, ho avuto modo di riflettere su quanto la violenza possa essere quotidiana perfino nella scuola, nascondendosi in mille rivoli e interstizi. Gioca poi un ruolo fondamentale la violenza “assistita”, parimente depositata nei corpi ancorché non dichiarata. Una narrazione resta iscritta nel corpo. Se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni di ricerca è che la violenza non accade mai per caso o all’improvviso. La storia dei reati commessi degli uomini incontrati ai tempi di VERSUS è strettamente collegata con la memoria di un particolare vissuto subito. Non è una giustificazione certo, ma dischiude possibilità di comprensione, di conoscenza. Ed è qui che dovrebbero intervenire le autorità: nel tempo che precede, nel prima.

Per concludere, una tua battuta sul processo di ricerca “plurale” di In-Violenza. Hai infatti accolto dalla Lavanderia a Vapore l’opportunità di sviluppare questa residenza in una dimensione corale, condivisa con altri artisti. Qual è il valore aggiunto?

In primis credo che il nostro sia proprio il tempo della pluralità. Questa residenza è condotta in maniera plurale perché è la Lavanderia stessa ad averci tutti avvicinati a un simile approccio. Ed è un fatto grandioso. Il TRA, Tavolo della Ricerca Artistica, ormai da anni ci permette di condividere saperi, pratiche. Mi preme sottolinearlo perché è davvero un’anomalia nel panorama nazionale. In-Violenza è dunque frutto di questa tendenza a incoraggiare la conoscenza e la relazione reciproca. Il TRA, insomma, è il diretto precedente dell’esperienza al Primo Levi. Da parte mia, io ho raccontato la ricerca che sto portando avanti e i contenuti su cui avrei avuto interesse a focalizzarmi. Doriana, Fabio e Francesca si sono così messi a servizio. Vedremo come evolverà il tutto: è interessante perché i materiali su cui ho cominciato a lavorare io adesso vengono trasferiti, a mo’ di staffetta, nelle loro mani, a turno, affinché possano (ri)plasmarli a partire dalle proprie competenze e dai rispettivi approcci di ricerca.

Intervista a Barbara Altissimo (direttrice artistica di LiberamenteUnico e membro del TRA) a cura di Matteo Tamborrino

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LAVANDERIA A VAPORE