Ombelichi tenui. Ballata per due corpi nell’aldilà del duo Porro/Zambelli, partendo dal tema dell’accompagnamento, ha mosso gli spettatori a interrogarsi sulla questione della morte. Il 6 novembre scorso così, una platea di adulti e bambini, riunita alla Lavanderia a Vapore di Collegno, ha percorso insieme un viaggio-rituale nell’oltre, capace – prima, durante e dopo la performance – di segnare le menti e di depositarsi nei corpi. Ne ha scritto Eugenia Coscarella, raccogliendo anche la voce della giovanissima Amira.
OMBELICHI TENUI Ballata per due corpi nell’aldilà
di e con Filippo Porro e Simone Zambelli
suono Isacco Venturini
luci Emanuele Cavazzana
scene e costumi Silvia Dezulian
consulenza scientifica Cristina Vargas, Marina Sozzi
consulenza drammaturgica Gaia Clotilde Chernetich
produzione AZIONI fuori POSTO
co-produzione C&C Company, Balletto Civile
con il sostegno di Komm Tanz_Passo Nord, progetto residenze Compagnia
Abbondanza/Bertoni, Lavanderia a Vapore – Centro di Residenza per la Danza
progetto vincitore del bando AiR 2021 – Artisti in Residenza / Lavanderia a Vapore
ore 18.00
Spettacolo
OMBELICHI TENUI
Ballata per due corpi nell’aldilà
C’era una volta un sassolino bianco, che attendeva sulla soglia di un teatro.
Insieme a lui tanti altri sassolini bianchi, custoditi due guardiani, che attendevano noi, che attendevano me.
Al mio ingresso, uno di loro dice:
“Ciao,
sono un sassolino bianco,
prendimi e portami con te, ti accompagnerò nella domanda.”
“Non avere fretta, prendi il tuo tempo per rispondere:
Hai paura della morte?
Hai mai toccato un corpo morto?
Hai mai desiderato morire?”
Inizio a girare tra le domande, a depositare sassolini, a depositare i miei sì, a depositare i miei no, insieme a qualche incertezza.
Qui, tra gli scricchiolii, sulla terra, la parola ‘morte’ prende forma, senza perifrasi o sinonimi. Esattamente così com’è, la sua domanda affonda nella carne e si fa strada nella memoria di ciascuno, nella mia.
La sua presenza emerge prepotentemente nello spazio, emerge come materia tangibile e in quella presenza, ci ricorda di essere la grande assente del nostro pensare, dire e agire quotidiano.
Eppure la tocchiamo ogni giorno.
Ogni volta che finisce qualcosa, noi la tocchiamo. Un’amicizia, un amore, un giorno.
Quando andiamo a dormire, quando ci risvegliamo, quando nasciamo. Ogni volta che
varchiamo il confine di qualcosa: buio, luce; visibile, invisibile; silenzio, parola.
La troviamo in ogni soglia.
E allora cosa rimane? Aldilà della rabbia, del dolore, della paura che suscita, cosa rimane?
Il passaggio.
Esattamente quello che accade in scena. Due corpi si incontrano, si accompagnano, si riconoscono, si perdono l’uno nell’altro, si separano. Vivono il passaggio.
Ma questa sera, caro sassolino, dai bambini seduti in platea, tutti impariamo qualcosa in più. Ci svelano il loro potere magico per nobilitare il passaggio: il sorriso.
Si può sorridere alla morte?
Sono loro a regalarci questa domanda.
Sì, si può creare quel piccolo spazio sul volto, lasciar fluire il respiro e in un piccolo suono dire: io ti accolgo.
Aldilà della rabbia, del dolore e della paura che susciti, morte, io ti accolgo.
Nel passaggio,
non voglio imparare a non aver paura, voglio imparare a tremare.
Non voglio imparare a tacere, voglio assaporare il silenzio da cui ogni parola vera nasce.
Non voglio imparare a non arrabbiarmi, voglio sentire il fuoco, circondarlo di trasparenza che
illumini quello che gli altri mi stanno facendo e quello che posso fare io.
Non voglio accettare, voglio accogliere e rispondere [1].
“Posso sedermi vicino a te?”
Caro sassolino, non è la paura a domandare, ma Amira, che salendo le gradinate della platea, mi raggiunge, chiedendomi se può guardare lo spettacolo vicina a me.
Mentre le dico sì sassolino, penso: che fortuna vedere uno spettacolo sulla morte vicino a una bambina.
Sì sassolino, Amira ha 11 anni e la mia storia prosegue così:
C’era una volta Amira e insieme ci siamo incontrate, riconosciute e accompagnate in questa visione.
Cosa rimane?
Il privilegio di affiancare un corpo ingenuus, sentirlo sussultare sulla seduta della platea, vederlo affacciarsi oltre le teste della fila avanti, per avvicinarsi il più possibile a ciò che sta accadendo. Ascoltarlo mentre sussurra domande, sentirlo ridere di un inciampo, di un corpo che cade, anche se quell’inciampo e quella caduta parlano di morte.
Cosa rimane?
Lo sguardo prezioso di una voce bianca, capace di cogliere con semplicità, aldilà del mi piace, non mi piace, tutte le profondità, i simboli di un’orazione danzata, di un rito laico di passaggio, per salutare qualcuno o qualcosa che se n’è andato. Un’amicizia, un amore o una vita.
Ciao sassolino,
grazie di averci accompagnato
grazie di averci fatto incontrare.
Ti salutiamo con una nostra poesia.
Abbi sempre cura dello spazio della domanda.
Eugenia e Amira
[1] C.L. Candiani, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Einaudi, Torino 2018, p. 75