Lo sguardo di Michele Pecorino, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, su Principia, l’ultimo lavoro di Alessio Maria Romano (Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2020), in prima nazionale al Teatro Astra di Torino dal 18 al 23 aprile. Lo spettacolo ha debuttato all’interno del cartellone di Palcoscenico Danza di Fondazione TPE dopo una fase di ricerca creativa alla Lavanderia a Vapore, svoltasi tra gennaio e aprile (clicca qui).
Nel mare immenso di galassie e di stelle, siamo un infinitesimo angolo sperduto; fra gli arabeschi infiniti di forme che compongono il reale, noi non siamo che un ghirigoro fra tanti.
Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Milano, Adelphi, 2014
Le porte della sala si aprono, il pubblico lentamente inizia a defluire. Entrando, la scena cattura immediatamente l’attenzione dell’audience che, con il biglietto in una mano e l’immancabile cellulare nell’altra, si districa tra le file della gradinata alla ricerca del posto assegnatogli precedentemente in biglietteria.
Il sipario è assente, la scena è visibile dal primo istante. Due sfere di colore platino sono sospese sulla diagonale invisibile che taglia, dall’angolo anteriore sinistro a quello posteriore destro, un ritaglio quadrangolare di tappeto danza grigio. Impossibile non pensare al pendolo a cui il fisico francese Jean Bernard Léon Foucault si affidò nel lontano 1851 per dimostrare il moto di rotazione terrestre. Il resto del palco è invece coperto sempre da un tappeto danza, questa volta di colore nero. Ogni quinta è assente, così come la tela di fondo. Sui lati del palco è possibile vedere le uscite di sicurezza e le corde di graticcia diligentemente annodate ai rispettivi mantegni.
Un essenza architettonica finita, quella del Teatro Astra, in cui si trasfigura l’inenarrabile dell’universo, tanto grande quanto sconosciuto. In contemporanea alla ricerca del proprio posto a sedere, in alcuni casi rocambolesca, si ode una voce (Marta Pizzigallo) che traccia pensieri. Dei riflessi, suscitati dall’ordinarietà umana. La raffinata penna è quella di Linda Dalisi, dramaturg dello spettacolo e figura resasi indispensabile durante l’intero processo creativo attivato dal coreografo e regista Alessio Maria Romano. La voce nel suo narrare svela il luogo da cui sta provenendo: una navicella di ritorno dallo spazio sulla terra. Gli accecanti rivolti sul pubblico pian piano si spengono. Gli ultimi ritardatari prendono finalmente posto. Parte un countdown sonoro. Allo scadere del tempo, in uno stato di semioscurità, fanno la loro comparsa i due danzatori (Francesca Linnea Ugolin e Mattéo Trutat) che si dispongono ai lati opposti della scena. Ad accompagnarli il suono. La scena inizia ad illuminarsi attraverso delle luci di taglio dal colore freddo. Un ulteriore proiettore posto sul proscenio, a destra, inizia a ruotare in senso antiorario, ora illuminando la scena ora il pubblico.
Il suono e la luce sono quei codici che guidano lo spettatore a percepire dei corpi, della materia. In contemporanea le due sfere iniziano a ruotare tracciando delle ellissi sempre più ampie. Le leggi quantiche sembrano ritagliarsi il loro spazio sul palco. I due danzatori per tutta la prima parte non si sfiorano, eppure tra di loro si intesse una interazione gravitazionale uguale a quella che si instaura tra le due sfere. I performer reiterano una sequenza definita, arricchendola mediante l’improvvisazione. Le direzioni verso cui si muovono sono molteplici. Entrano vicendevolmente in collisione con le traiettorie dell’altro e con quelle tracciate dalle sfere. Le orbite collidono creando della nuova materia composta da particelle sconosciute. Il tempo e lo spazio si curvano lasciando apparire e scomparire la materia oscura. Tutto in scena appare per poi negarsi. La prevedibilità ordinaria cede il passo ad un’azione in cui tutto sembra accadere casualmente.
La materia ordinaria, i corpi dei danzatori, la materia artificiale entrano in contatto con la materia cosmica. Ad attrarre i due danzatori è il centro della scena. Lì dove si incontrano le orbite dei loro corpi e delle sfere i movimenti e i gesti si accelerano. Attraverso il plasmarsi della luce e dei differenti ritmi musicali, che danno lo spazio tempo, prende forma la gravità, l’incontro tra i due danzatori. I performer si perdono, si ritrovano. In un crescendo di sguardi, sfioramenti e passi sfuggevoli i due danzatori arrivano a toccarsi attratti l’uno dall’altro. Inizia così una penultima sezione dove entrambi sono il centro della gravità dell’altro. Dopo questa ultima sezione, escono di scena. I due corpi artificiali, i due grossi pendoli riprendono a ruotare sempre più velocemente, quando ad un certo punto inizia a fuoriuscire da questi della sabbia nera. Si stagliano così sulla scena le ellissi tracciate dal loro movimento. Gli spettatori sembrano inebriarsi dell’interazione gravitazionale che si instaura tra differenti corpi. In questo idilliaco vagare, sconosciuto e vasto, tra l’universo inenarrabile si vanno a perdere così quei piccolissimi punti di materia ordinaria quali siamo. Si compie la rivoluzione e tutto ricomincia.