Balliamoci sopra

Balliamoci sopra

Benedetta Colasanti su NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok (Appunti, celebrazioni e proteste di un corpo vulnerabile), visto ai Cango di Firenze lo scorso 12 maggio. L’ultima creazione di Daniele Ninarello, nata grazie a fasi di ricerca svolte alla Lavanderia a Vapore di Collegno (in particolare nell’ambito del progetto di innovazione didattica Media Dance), è stata recentemente selezionata per la NID 2023, in programma dal 30 agosto al 2 settembre a Cagliari.


Pavimento bianco, luci piene, una musica elettronica ripetitiva, quasi alienante, un corpo semi-nudo. Così il pubblico viene introdotto senza mezzi termini nella prima delle tre “stanze” di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok, l’ultimo lavoro di Daniele Ninarello. Sulle sedie della platea di Cango (Cantieri Goldonetta, Firenze), giace una lettera:

Cara spettatrice e Caro spettatore,
Ti ringrazio per essere qui con me oggi.
Questa sera vorrei condividere con te una danza, una denuncia, una protesta. Esisterà solo qui, solo questa volta, solo attraverso questi gesti, solo davanti ai tuoi occhi […].

Ninarello, autore e interprete, è solo in scena. Indossa una camicia, una giacca e dei pantaloncini, rievocando i tempi delle riunioni online dell’epoca pandemica, quando bastava rendere presentabile la metà superiore del nostro corpo. La performance gioca fin da subito col contrasto tra musica sperimentale – spesso percepibile come rumore – e silenzio; in quest’ultimo ogni minimo rumore risuona, amplificato. La coreografia è un climax. Nella “prima stanza” i gesti proposti sembrano essere in bilico tra automatismo e resistenza a quegli stessi gesti, tra il tentativo disperato di comunicare, di esprimere qualcosa, e la difficoltà di farlo apertamente, forse nella paura di non essere capiti. In questo senso la ricerca del contatto visivo col pubblico è concettualmente significativa ed emotivamente forte. Il linguaggio del corpo rimanda anche al rapporto complicato tra burnout, overthinking e horror vacui; tra chiusura e apertura; tra difendersi e schierarsi. La protesta di Ninarello risiede in parte nella rinuncia – nella prima porzione coreografica – a una vera e propria estetica: si opta d’altro canto per una riflessione personale e soggettiva ma di base comune a molti.

La musica sperimentale ed elettronica è la protagonista della “seconda stanza” di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok. Il prodotto di una chitarra elettrica, “suonata” dal vivo dallo stesso coreografo-danzatore non secondo i canoni, è la colonna sonora di un caos interiore, di un dolore esistenziale che troppo spesso la società tenta di nascondere. Il rumore è stridente, a tratti insopportabile. Intanto il gesto viene progressivamente esasperato, le manifestazioni corporee si fanno più urgenti ed evidenti: la coreografia appare ora come una lotta continua tra mondo esteriore e pensieri. Infine, Ninarello imbraccia la chitarra elettrica, avvicina il microfono alla propria bocca, respira, si schiarisce la voce; suona e canta una canzone orecchiabile: E la luna bussò di Loredana Bertè. È la parte più pop dell’intera performance, ma il successo italiano viene reinterpretato in chiave malinconica e le parole assumono un nuovo significato, un nuovo sapore.

La “terza stanza” è preceduta da una chiamata alle armi o, meglio, alla presenza. Daniele Ninarello si rivolge a ognuno degli spettatori, leggendo i nomi da una lista compilata prima dello spettacolo. Poi la canzone di Bertè si propaga ad alto volume, questa volta nella versione originale, mentre il danzatore esegue l’ultima coreografia, scomposta, articolata, ricca di spunti. È come il ballare degli adolescenti chiusi a chiave nelle loro camerette. L’uscita di scena prima della fine della canzone, permette anche al pubblico di danzare da solo, almeno nella propria mente.

Segue un incontro con l’artista, come di consueto a Cango, coordinato da Pietro Gaglianò. Ninarello espone con sincerità la genesi di NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok: è un lavoro quasi interamente costruito nella sua cucina durante il primo lockdown, un periodo di riposo, di riflessione, di paura, di vulnerabilità collettiva in cui ognuno – in solitudine – ha forse avuto modo di fare i conti con i propri fantasmi. La performance è frutto di un percorso di rimozione del trauma fisico, della necessità di non prendere la posizione di vittima né quella di carnefice, della possibilità di sentirsi sporchi. Infine, emerge la volontà di decolonizzare il corpo, liberandolo da sovrastrutture e pregiudizi: un corpo pieno non ha spazio per l’ascolto. NOBODY NOBODY NOBODY It’s Ok Not To Be Ok richiama una dimensione del danzare che non è altro che un rituale moderno: poter dimenticare ballando a ritmo di musica è un atto liberatorio al pari del flusso di coscienza. La dichiarazione dell’hic et nunc spettacolare e il coinvolgimento del pubblico sono forse i due elementi che rendono questa performance consapevolmente collocabile nella storia della danza ma anche in un terreno fertile di nuove sperimentazioni e sviluppi.

Benedetta Colasanti


creazione e danza Daniele Ninarello
accompagnamento alla creazione Elena Giannotti
drammaturgia Gaia Clotilde Chernetich
musica Daniele Ninarello
elaborazioni sonore Saverio Lanza
direzione tecnica Eleonora Diana
sguardo esterno Vera Borghini
produzione Codeduomo / Compagnia Daniele Ninarello
coproduzione Oriente Occidente
con il supporto di Fondazione Piemonte dal Vivo/Circuito Regionale Multidisciplinare di Spettacolo dal Vivo, Lavanderia a Vapore/Centro di Residenza per la Danza, Centro per la Scena Contemporanea-Bassano del Grappa e DiR-Dance in Residence Brandenburg, progetto di cooperazione di fabrik moves Potsdam e TanzWERKSTATT Cottbus. Programma creato in cooperazione con Pro Potsdam, Burgerhaus am Schlaatz, fabrik Potsdam e the Brandenburg State Museum of Modern Art | Dieselkraftwerk Cottbus e con il supporto di DIEHL+RITTER/TANZPAKT RECONNECT, fondato da the Federal Government Commissioner for Culture e the Media come parte di NEUSTART KULTUR, the State of Brandenburg, the City of Potsdam e the City of Cottbus.
Realizzato nell’ambito della ricerca sull’innovazione didattica del progetto Media Dance-Lavanderia a Vapore di Collegno.
in collaborazione con Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Atelier delle Arti Livorno

Ricostruire gli abbracci

Ricostruire gli abbracci

Lo sguardo di Benedetta Colasanti su PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi, visto lo scorso 30 aprile al Teatro Niccolini di San Casciano in Val di Pesa, per il circuito di Fondazione Toscana Spettacolo. L’opera – che coinvolge performer con disabilità – si pone come punto d’arrivo di un viaggio iniziato dall’urgenza di esserci, di rispondere a una chiamata. “Trovarsi e ritrovarsi – si legge nelle note di regia – in un mondo modificato, ma non per questo privo di sogni e case. Un viaggio di ricerca di sé, dei propri spazi e delle proprie aspirazioni”. Sul palco si fondono così in un’unica danza equilibri e solitudini, spazi vuoti e pieni, razionalità e impulsività.


La luce di un film d’animazione proiettato sullo sfondo della scena irrompe nella sala buia del teatro Niccolini di San Casciano Val di Pesa (Firenze); una sagoma procede con andatura decisa in controluce. Nell’ambito della Giornata Internazionale della Danza, va in scena per la prima volta “PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi”, prodotto dalla Compagnia Xe. La melodia e il ritmo della colonna sonora di Little Miss Sunshine ci introducono in un mondo realistico e ordinario, fatto di persone, di peculiarità e di differenze dalla cui interazione nasce qualcosa di sempre nuovo e speciale. Il canone e l’omologazione sono elementi deleteri per la nostra società; imitando la natura, spettacolare poiché variegata, anche l’uomo dovrebbe forse non appiattire le differenze ma esaltarle.

Realizzata all’interno del Laboratorio 2 di “Personae”, progetto di danza inclusiva nel quale la Compagnia Xe si impegna dal 2000, la performance propone un delicato lavoro di incontro, di ricerca sul gesto e sulla voce, di esplorazione dello spazio scenico, di interazione tra biologie per natura dissimili. Sul palco sono presenti tre giovani adulti diversamente abili che agiscono insieme alla coreografa Giulia Ciani e alle assistenti alla coreografia Alessandra Passanisi e Viviana Angelillo.

È proprio la diversità a rendere interessante lo studio sul movimento. Fabrizio Mangani, Luca Muratore Scarpi e Lapo Sieni dimostrano familiarità con la scena, voglia di esibirsi, forte capacità di comunicare messaggi ed emozioni a un pubblico spesso poco attento ma in questo caso sicuramente attratto da ciò che i performers propongono. Camminare, correre, abbracciare, stringere la mano altrui: sono tutti atti che nella nostra quotidianità devono ritrovare la propria ragione di esistere. La camminata e la corsa, ad esempio, sono azioni automatiche; ci rendiamo veramente conto dei nostri percorsi giornalieri? Dei punti di partenza e dei punti di arrivo? Esprimiamo mai gratitudine nei confronti delle nostre gambe e dei nostri piedi che ci permettono di percorrere tanta strada? Gesti come l’abbraccio e la stretta di mano sono diventati talvolta difficili, imbarazzanti, persino superficiali e mendaci. Riscoprire l’importanza di tali contatti è un punto di partenza fondamentale non solo nella ricerca teatrale e di danza sul corpo e sulle relative potenzialità, ma anche per recuperare una socialità perduta o data per scontata. Lo stesso vale per l’uso della voce: il danzatore contemporaneo spesso si riappropria della propria voce, mostrandola a spettatori per secoli abituati a guardare la danza ma non ad ascoltarla. 

L’uomo adulto, a causa di preconcetti e sovrastrutture, tende poi a perdere la spontaneità e la schiettezza che invece contraddistingue ancora i bambini o le persone diversamente abili. Questi ultimi possono probabilmente re-insegnarci la bellezza del roteare su sé stessi o del cercare di afferrare le stelle, tendendo le mani al cielo. In questo senso il lavoro di Ciani, Passanisi e Angelillo – che denota grande consapevolezza richiamando anche elementi fondanti della storia della danza contemporanea come la contact improvisation di Steve Paxton – è particolarmente importante e meritevole. “PERÒ CHIAMAMI_movimenti diversi” è piacevole e degno di nota anche dal mero punto di vista estetico. Si avvale di un ottimo gioco di luci e di ombre, di costumi perfettamente in linea con l’attuale gusto contemporaneo di danza, di spezzati coreografici visivamente attraenti.

Benedetta Colasanti


coreografia Giulia Ciani
assistente alla coreografia Alessandra Passaisi, Viviana Angelillo
in scena Viviana Angelillo, Giulia Ciani, Fabrizio Mangani, Luca Muratore Scarpi, Alessandra Passanisi, Lapo Sieni
costumi Loretta Mugnai
luci Alessandro Ruggiero
proiezioni video tratto da Rooms Francesco Margarolo
organizzazione Lorenza Tosi
assistente Sara Ladu
produzione Compagnia Xe
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune San Casciano Val di Pesa
in collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo onlus
con il contributo di Fondazione CR Firenze

Danzare il silenzio, danzare la quotidianità

Danzare il silenzio, danzare la quotidianità

Benedetta Colasanti riporta lo sguardo della classe di Dance History dell’Accademia Europea di Firenze su Op. 22 No. 2 di Alessandro Sciarroni, artista associato del CENTQUATRE – PARIS e della Triennale Milano Teatro 2022-2024. L’opera è nata da un’idea di Emanuele Masi, nell’ambito di “Swans Never Die” , un progetto di rete che nella stagione 2022/’23 ha riunito Lavanderia a Vapore, Operaestate Festival Veneto e CSC – Centro per la Scena Contemporanea Bassano del Grappa, Triennale Milano Teatro, Fondazione Teatro Grande di Brescia, Festival Bolzano Danza – Fondazione Haydn, Gender Bender Festival, “Memory in Motion. Re-Membering Dance History (Mnemedance)” – Università Ca’ Foscari Venezia e DAMS – Università degli Studi di Torino.

Ho attualmente il privilegio e il piacere di insegnare storia della danza presso l’Accademia Europea di Firenze. La mia classe è composta da nove studentesse e danzatrici della Elon University (North Carolina), in visita in Italia per un’esperienza di studio. Quando si tratta di spettacolo, l’atto di posizionarsi “dall’altro lato” della cattedra non può prescindere dalla consapevolezza che la storia del teatro, della danza, della musica, del cinema, non può limitarsi alla lezione frontale. Specialmente parlando di contemporaneo, bisogna riconoscere che la storia si sta ancora scrivendo e che nel capoluogo toscano, a Cango, quella storia è tutt’oggi in divenire. Il festival La Democrazia del Corpo propone, tra le tante cose, Op. 22 No. 2 di Alessandro Sciarroni, uno dei coreografi attualmente più interessanti e più in vista sulla scena contemporanea italiana ed europea. È un’ottima occasione per le studentesse, un valido caso di studio. Propongo loro di andare a vedere lo spettacolo, di portare penna e taccuino. Domenica 12 marzo 2023 attendiamo nella piccola sala di Oltrarno l’inizio della performance; c’è curiosità e aspettativa.

Op. 22 No. 2, interpretata dalla danzatrice Marta Ciappina, è una breve opera strutturata in due tempi: una sequenza coreografica si ripete con variazione. La prima parte è danzata senza l’accompagnamento musicale, o meglio, la musica esiste soltanto nelle orecchie della danzatrice, che indossa degli AirPods.

When she is wearing the earphones, she is completely in her own world, hearing her own thoughts and looking out into the world with only her lens.
Isabella Sessa

Durante la seconda sezione, Ciappina ripete la stessa coreografia, questa volta indossando dei tappi per le orecchie, mentre il pubblico – a sua volta – ascolta la musica. La dicotomia risulta particolarmente interessante per lo studio della danza contemporanea, perché permette di cogliere le sfumature di significato e le differenze estetiche tra l’adozione della musica e la scelta del silenzio.

Audience members could clearly hear the contact between the shots and the floor, which often contradicts today’s desires. The effort of the performance could be heard rather than having an effortless nature. […] The lack of music and strong use of silence was awkward. Silence in my eyes is only a useful element if the movement can stand alone. With the constant use of repetition, the movement did not feel like it could stand alone. The dance became lack luster and predictable.
Gabrielle Cataldo

L’assenza di musica non è in realtà sinonimo di silenzio assoluto. A teatro, fuori dal loro contesto, i rumori quotidiani sono amplificati e diventano quasi imbarazzanti.

I think a big theme is sound. Ciappina wears heeled shoes so the audience can easily hear her walking. […] There were also a lot of sounds produced by the body. During the silent section, I could hear her breathing and the sounds her body made when it came in contact with the floor like when her knee would hit the ground.
Isabelle Mao

Sciarroni veste i suoi danzatori ispirandosi al mondo della moda, collocandoli tuttavia a metà strada tra passato e presente tramite l’adozione di riferimenti a volte chiari e a volte fuorvianti. Marta Ciappina indossa una gonna lunga a quadri, una camicia e scarpe con tacco basso che da una parte simulano semplici passi, dall’altra rimandano a danze profondamente ritmiche come il tip-tap. Sono abiti che richiamano la vita di tutti i giorni, segno del desiderio di vedere sul palco persone “vere”.

I think the piece piece symbolized the noise in everyday life, physically and mentally.
Madeline Trigilio

Marta Ciappina fa il suo ingresso in una scena bianca, abbondantemente illuminata, a richiamare il debutto di Op. 22 No. 2, che aveva avuto luogo in uno spazio illuminato dalla luce del sole. Il coreografo dichiara inoltre di non voler mettere in ombra i suoi danzatori. 

The whole stage was lit the whole time and only occasionally did it fluctuate in brightness.
Maggie Adams

La coreografia si ispira al poema sinfonico del compositore finlandese Jean Sibelius, Tuonelan Joutsen, tratto a sua volta da un mito nordico poco conosciuto. Dopo la performance, Alessandro Sciarroni e Marta Ciappina incontrano il pubblico con la moderazione di Alessandro Iachino; tra le altre cose raccontano la genesi dell’opera. Sciarroni spiega che Op. 22 No. 2 gli è stata commissionata da Emanuele Masi; Ciappina svela che lei stessa ha chiesto a Masi di commissionare a Sciarroni il lavoro, perché desiderava danzare sulla musica di Sibelius e farlo da sola, per motivi terapeutici, per non sentirsi schiacciata da un gruppo di colleghi.

The dancer was visibly looking very hard to execute the movement, and it seemed like there was an intense amount of effort and purpose in the dancing, but then to do all that “for show” and then to take a moment to stop, look at the audience and be like “see what I just did”?
Hannah Burnett

Dopo una relazione artistica duratura, fatta di libertà e di fiducia reciproca, i due mettono in scena il cigno di Tuonela, diverso da quello de Il Lago dei Cigni: si tratta di un animale sacro che un eroe medievale vuole uccidere, senza riuscirsi. Il coreografo aveva già lavorato sulla musica di Sibelius in Folks; è una musica drammatica, grave, che sembra condurre l’artista sull’orlo di un precipizio. Lo spazio di Cango sembra adattarsi perfettamente alle esigenze della pièce.

The piece was performed in an intimate space with a small audience that was seated just up until the edge of the performance space. Along with lighting, this gave the impression that the audience was in the space with the dancer rather than a separate entity observing a piece being performed.
Emma Stenger

Marta Ciappina rivendica la sua posizione di interprete, mentre Sciarroni si descrive come un coreografo che non ha mai studiato danza. Il singolo movimento sciarroniano, portato agli estremi, ripetuto all’infinito, viene qui espanso grazie alla collaborazione con la danzatrice.

Much of the movement was slow and flowy, but then followed by a few sharp and fast movements. There were many moments of stillness that gave the dancer time to breathe, and the audience time to digest the movement.
Madeline Trigilio

Il gesto è evocativo, sembra simboleggiare ora il potere, ora il soccombere; ora l’insegnare, ora l’apprendere; ora l’accoglienza, ora il subire violenza.

There was much repetition in movement, specifically in her arm and torso movements, focus, and fall and recovery from the floor. Choreographically, the movement was a mix of linear/placed movements that were recognizable to classical modern dance, while also less placed movements that felt very human. I appreciated the use of everyday movements that are recognizable across cultural and language barriers.
Jessica Werfel

La danza contemporanea italiana ed europea si contraddistingue per una continua ricerca che supera le “classiche” dinamiche e le ragioni dell’intrattenimento.

The piece was based on delivered a message of a future and past self that had fear for something. While I was unsure of how this was conveyed through the piece, I was able to understand a timeline and the sense of fear.
Haley Asbury

Nel nostro presente Op. 22 No. 2 non può che richiamare la femminilità. L’ascoltare privatamente qualcosa tramite l’uso delle cuffie fa pensare alle imposizioni sociali, a volte invisibili e sottili, eppure talmente influenti da convincere la donna di essere una vittima sacrificale. Al contrario, il privarsi del senso dell’udito tramite i tappi, è simbolo di un isolamento che ha effetti diversi ma altrettanto deleteri.

After watching Sciarroni’s piece, I found that there is more to anything in life. Meaning, here is a dancer that has lavers unseen. There is more than just a dancer standing on the stage in silence. There is more to life than what people can only see.
Isabella Sessa

Benedetta Colasanti


di Alessandro Sciarroni 
con Marta Ciappina
musica Jean Sibelius (Op. 22 No. 2,”Tuonelan joutsen”)
costumi Ettore Lombardi
cura, promozione e sviluppo Lisa Gilardino
produzione esecutiva Chiara Fava
cura tecnica Valeria Foti
commissione Festival Bolzano Danza | Tanz Bozen
produzione MARCHE TEATRO Teatro di Rilevante Interesse Culturale, Corpoceleste_C.C.00#
in coproduzione con Festival Bolzano Danza | Tanz Bozen
con il sostegno di NOI Techpark Südtirol / Alto Adige

L’inenarrabile ordinario dell’universo: visioni della rivoluzione di “Principia”

L’inenarrabile ordinario dell’universo: visioni della rivoluzione di “Principia”

Lo sguardo di Michele Pecorino, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, su Principia, l’ultimo lavoro di Alessio Maria Romano (Leone d’argento alla Biennale di Venezia 2020), in prima nazionale al Teatro Astra di Torino dal 18 al 23 aprile. Lo spettacolo ha debuttato all’interno del cartellone di Palcoscenico Danza di Fondazione TPE dopo una fase di ricerca creativa alla Lavanderia a Vapore, svoltasi tra gennaio e aprile (clicca qui).


Nel mare immenso di galassie e di stelle, siamo un infinitesimo angolo sperduto; fra gli arabeschi infiniti di forme che compongono il reale, noi non siamo che un ghirigoro fra tanti.

Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Milano, Adelphi, 2014

Le porte della sala si aprono, il pubblico lentamente inizia a defluire. Entrando, la scena cattura immediatamente l’attenzione dell’audience che, con il biglietto in una mano e l’immancabile cellulare nell’altra, si districa tra le file della gradinata alla ricerca del posto assegnatogli precedentemente in biglietteria.  

Il sipario è assente, la scena è visibile dal primo istante. Due sfere di colore platino sono sospese sulla diagonale invisibile che taglia, dall’angolo anteriore sinistro a quello posteriore destro, un ritaglio quadrangolare  di tappeto danza grigio. Impossibile non pensare al pendolo a cui il fisico francese Jean Bernard Léon Foucault si affidò nel lontano 1851 per dimostrare il moto di rotazione terrestre. Il resto del palco è invece coperto sempre da un tappeto danza, questa volta di colore nero. Ogni quinta è assente, così come la tela di fondo. Sui lati del palco è possibile vedere le uscite di sicurezza e le corde di graticcia diligentemente annodate ai rispettivi mantegni. 

Un essenza architettonica finita, quella del Teatro Astra, in cui si trasfigura l’inenarrabile dell’universo, tanto grande quanto sconosciuto. In contemporanea alla ricerca del proprio posto a sedere, in alcuni casi rocambolesca, si ode una voce (Marta Pizzigallo) che traccia pensieri. Dei riflessi, suscitati dall’ordinarietà umana. La raffinata penna è quella di Linda Dalisi, dramaturg dello spettacolo e figura resasi indispensabile durante l’intero processo creativo attivato dal coreografo e regista Alessio Maria Romano.  La voce nel suo narrare svela il luogo da cui sta provenendo: una navicella di ritorno dallo spazio sulla terra. Gli accecanti rivolti sul pubblico pian piano si spengono. Gli ultimi ritardatari prendono finalmente posto. Parte un countdown sonoro. Allo scadere del tempo, in uno stato di semioscurità, fanno la loro comparsa i due danzatori (Francesca Linnea Ugolin e Mattéo Trutat) che si dispongono ai lati opposti della scena. Ad accompagnarli il suono. La scena inizia ad illuminarsi attraverso delle luci di taglio dal colore freddo.  Un ulteriore proiettore posto sul proscenio, a destra, inizia a ruotare in senso antiorario, ora illuminando la scena ora il pubblico. 

Il suono e la luce sono quei codici che guidano lo spettatore a percepire dei corpi, della materia. In contemporanea le due sfere iniziano a ruotare tracciando delle ellissi sempre più ampie. Le leggi quantiche sembrano ritagliarsi il loro spazio sul palco. I due danzatori per tutta la prima parte non si sfiorano, eppure tra di loro si intesse una interazione gravitazionale uguale a quella che si instaura tra le due sfere. I performer reiterano una sequenza definita, arricchendola mediante l’improvvisazione. Le direzioni verso cui si muovono sono molteplici. Entrano vicendevolmente in collisione con le traiettorie dell’altro e con quelle tracciate dalle sfere. Le orbite collidono creando della nuova materia composta da particelle sconosciute. Il tempo e lo spazio si curvano lasciando apparire e scomparire la materia oscura. Tutto in scena appare per poi negarsi. La prevedibilità ordinaria cede il passo ad un’azione in cui tutto sembra accadere casualmente. 

La materia ordinaria, i corpi dei danzatori, la materia artificiale entrano in contatto con la materia cosmica. Ad attrarre i due danzatori è il centro della scena. Lì dove si incontrano le orbite dei loro corpi e delle sfere i movimenti e i gesti si accelerano. Attraverso il plasmarsi della  luce e dei differenti ritmi musicali, che danno lo spazio tempo, prende forma la gravità, l’incontro tra i due danzatori. I performer si perdono, si ritrovano. In un crescendo di sguardi, sfioramenti e passi sfuggevoli i due danzatori arrivano a toccarsi attratti l’uno dall’altro. Inizia così una penultima sezione dove entrambi sono il centro della gravità dell’altro. Dopo questa ultima sezione, escono di scena. I due corpi artificiali, i due grossi pendoli riprendono a ruotare sempre più velocemente, quando ad un certo punto inizia a fuoriuscire da questi della sabbia nera. Si stagliano così sulla scena le ellissi tracciate dal loro movimento. Gli spettatori sembrano inebriarsi  dell’interazione gravitazionale  che si instaura tra differenti corpi. In questo idilliaco vagare, sconosciuto e vasto, tra l’universo inenarrabile si vanno a perdere così quei piccolissimi punti di materia ordinaria quali siamo. Si compie la rivoluzione e tutto ricomincia.

Michele Pecorino

progetto di AMR/DALISI
regia e coreografia di Alessio Maria Romano
cast Mattéo Trutat, Francesca Linnea Ugolini
voce di Marta Pizzigallo
dramaturg Linda Dalisi
drammaturgia sonora Franco Visioli
spazio scenico Giuseppe Stellato
progetto luci Giulia Pastore
costumi Giada Masi
assistente alla creazione Riccardo Micheletti
consulente scientifico Prof. Enrico Trincherini (Scuola Normale Superiore)
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Lavanderia a Vapore, centro di residenza per la danza
nell’ambito di PALCOSCENICO DANZA
foto Andrea Macchia
si ringrazia Infini.to Planetario di Torino
Pensieri sconnessi e parcheggi per Racconigi, Olivier Dubois e il valore del corpo di un’artista

Pensieri sconnessi e parcheggi per Racconigi, Olivier Dubois e il valore del corpo di un’artista

Il 18 marzo scorso Mirco Spadaro, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, ha visto al S.O.M.S. di Racconigi MY BODY OF COMING FORTH BY DAY, in replica il giorno successivo al Teatro Toselli di Cuneo.


Per questo nuovo spettacolo, Olivier Dubois è solo sul palco. Azionando qualsiasi artificio o rete di sicurezza, è vittima consenziente di un gioco che ricorda a turno un’udienza in tribunale, un peep show e una vivisezione. Il coreografo e ballerino, seguendo un percorso casuale costruito dal pubblico secondo regole prestabilite, rivisita alcuni dei sessanta spettacoli a cui ha preso parte dall’inizio della sua carriera. Ispirato dall’antico Libro dei morti egiziano intraprende un viaggio attraverso un mare di frammenti di danza alla ricerca dell’artista, scrutando il corpo dell’esecutore per scoprire cosa rende un capolavoro e leggendo dalle sue viscere i segni del destino. Una stella è rinata!

creazione e interpretazione Olivier Dubois
luci e suoni François Caffenne
produzione Compagnie Olivier Dubois I COD
coproduzione Festival BreakingWalls / Le Caire – Le CENTQUATRE-PARIS

Spumante? Sigarette? Lo spettacolo non è ancora iniziato; siamo a Racconigi e stiamo per vedere Olivier Dubois, Pour sortir au jour, My body of coming forth by day. Ci siamo venuti in macchina, io e la Giorgia, e a trovar parcheggio abbiamo fatto non poca strada. No dai, non sedetevi lì, più vicino, s’il-te-plaît. Come si dice una sigaretta in francese? tu as une cigarette, s’il-te-plaît? Ecco tieni; è una sigaretta italiana. I-ta-lia-na; in Francia costano undici euro, un-di-ci. La gente scavalca le frontiere per pagare meno le sigarette, già. Dubois ci accoglie, ci sediamo attorno a lui; indossa degli occhiali per leggere.

«Buonasera, sono felice e onorato di essere tra voi, di fronte a voi, questa sera a Racconigi! Per l’occasione mi sono messo in ghingheri; vi voglio far notare il mio nuovo e bellissimo costume acquistato al Cairo; è un po’ approximatif, molto usato. È fatto per questa sera. Questa sera. Questa sera per ergere alla luce. Questa sera per ergere alla luce il mio corpo; il mio corpo come il libro dei morti, come lunga memoria. Conservo dentro di me migliaia di movimenti, gesti, emozioni, litri di sudore e sangue. Centinaia di ferite e cicatrici. Un sacco di felicità e di dolore. Cosa è rimasto di tutto questo? Dove possono condurmi le memorie del mio corpo? […] Noi, artisti, potremmo considerarci delle opere d’arte per il semplice fatto che i nostri corpi sono la sostanza delle arti performative, degli spettacoli dal vivo e, quindi, della danza. Se così fosse, quanto lo valutereste? […] Vi propongo un gioco, che potrebbe trasformarsi in un tribunale, un’indiscrezione sicuramente. Iniziamo a giocare».

Agitateur de la scène contemporaine française, Olivier Dubois a signé ces dix dernières années quelques- unes des œuvres chorégraphiques les plus radicales. Directeur du Ballet du Nord de 2014 à 2017, élu l’un des vingt-cinq meilleurs danseurs au monde en 2011 par le magazine Dance Europe, il jouit d’une expérience unique entre création, interprétation et pédagogie”. Direttore del Ballet du Nord dal 2014 al 2017, eletto tra i venticinque migliori danzatori del mondo dal magazine “Dance Europe” nel 2011; Karine Saporta; Angelin Preljocaj; Jan Fabre; Dominique Boivin; Sasha Waltz; il “Cirque du Soleil”; Bérangère Jannelle; “Balletto Nazionale di Marsiglia”; l’Opera di Vienna, la Scuola Nazionale di Danza di Atene; la Compagnia di Balletto dell’Opera del Cairo: Troubleyn/Jan Fabre, il Balleto Preljocaj; la Scuola di Belle Arti a Monaco.

Quanto vale il corpo di un artista?

Non credo mi piacciano le sigarette accese nei teatri. Mentre siamo seduti ai bordi del palco, Olivier Dubois ha 50 anni. Ce lo ricorda lui seduto dietro la sediola, il mixer ed il computer; prima ci ha offerto sigarette e spumante. Ce lo ricorda il suo corpo, la sua pancia; quasi ne mostra di più. Abbiamo rifiutato le convivialità, ma ci siamo comunque sentiti a casa; sarebbe stato difficile il contrario: il palco è un luogo dove difficilmente non ti senti a casa. Inizia così la dissezione del corpo di un’artista: ha un odore acre, un po’ di carne che va a male e di fumo che s’accumula sotto la lingua: è di una bellezza spettacolare, quest’artista che si fa a pezzi per noi. Grotowsky diceva che l’attore è un uomo che, lavorando in pubblico con il suo corpo, lo dà pubblicamente. Ciò che colpiva allora quando si pensava al mestiere dell’attore, era il 1968, era il suo squallore: l’appalto su un corpo che viene sfruttato dai suoi protettori, i direttori e i registi, cosa che a sua volta fomentava un’atmosfera d’intrighi e di ribellione. Olivier ha denudato il suo corpo per noi; abbiamo scaglionato la sua memoria, quella privata e quella pubblica, per quasi due ore: da buste a caso prendevamo lo spettacolo, da altre buste a caso la musica; lui ballava per noi e qualcun altro lo spogliava. Io ho preso il suo anello; me l’ha messo all’anulare, Dubois, che sembrava un matrimonio; l’ho poi restituito; pesano gli anelli degli artisti, manco avessero da percorrere all’incontrario tutta la strada verso il monte Fato. Pensavo fosse un elemento del costume: credo non lo fosse.

Abbiamo visto Olivier muoversi per noi fino allo sfinimento, danzare fino all’infarto; ci ha chiesto, sudato e ansimante, se volessimo il bis. Noi abbiamo risposto di sì, e quasi il teatro s’è fatto un po’ maniacale: la bellezza incognita delle cose inaspettate indossa spesso una crudeltà un po’ affettata; chi recita da tanto tempo un po’ lo sente addosso, questo tessuto. «non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile», avrebbe detto Artaud; non è crudeltà o sadismo, più un rituale magico: un dissacrante spogliarello dell’anima che ci ricorda dei vestiti che abbiamo addosso, a suo modo, come solo lo spettacolo dal vivo sa fare, il prodigio per cui anche una bestemmia est modus per ricordare et amare Dio.

«Raccontare la mia privacy è di poca o nessuna importanza. Ciò che invece il mio corpo e la mia memoria possono scatenare come sensazione intima in chi la osserva è l’essenziale. È qui che l’arte è forse l’atto più democratico. Poiché la ragione del processo artistico, il libretto in un certo senso, è irrilevante, è importante solo la percezione intima dello spettatore. E qualunque sia questa percezione, è legittima ed equa. Non ci sono interpretazioni errate di un’opera. Il lavoro appartiene solo allo spettatore!», Olivier Dubois in un’intervista a Michele Olivieri.

Finito lo spettacolo m’è sembrato di rompere un bicchiere, come se dovesse esserci dentro ancora qualcosa; credo sia perché questo genere di rappresentazione non ha una vera e propria fine: ti lascia sete. Io e Giorgia siamo andati dopo a berci un qualcosa, dopo; ne abbiamo parlato. Le spiego che non sono convinto che abbia senso domandarsi quale sia il valore del corpo di un artista; è una domanda un po’ retorica, dico, quasi pretenziosa. L’arte – concordiamo che il corpo di un artista sia arte – ha valore solo per chi la compra. Però me lo domando; ecco, se c’è qualcuno che forse poteva dargli una risposta, ecco, quello era Dubois stesso; qual è il valore del corpo di un artista per un artista? Ci rifletto; non è una domanda che porrò perché non è una domanda a cui voglio una risposta.

Mentre in macchina torno a vedere le luci della collina di Torino, penso che sia tardi, che Dubois è una sirena, che We Speak Dance sia quasi finito, che i corpi si muovono, si muovono costantemente, anche se le ruote sull’asfalto si fermano e i pensieri sono sconnessi.

Oh, don’t you stop (Don’t stop, you’re moving me) Baby, don’t stop (Don’t stop, you’re moving me) Don’t stop (Don’t stop)

You’re moving (You’re moving, you’re moving me).

Mirco Spadaro

Corpi volano come stormi di uccelli, mormorando nel cielo

Corpi volano come stormi di uccelli, mormorando nel cielo

Asia Passerella ha partecipato al laboratorio di Aakash Odedra e Lewis Major (inserito nella cornice del progetto TANZ TANZ), assistendo poi allo spettacolo. Qui di seguito la sua restituzione. Per altre info sull’opera: clicca qui.

mormorio
/ mor·mo·rì·o /
sostantivo maschile
1 . Rumore attenuato e insistente
2 . Seguito confuso e indistinto di parole pronunciate a mezza voce
Piccolo mormorio.

Tanto fiato, tanto sforzo, minima emissione di suono, quasi impercettibile.

A – A – K – A – S – H

Per anni tutto è sembrato lo stesso. Un nome, scritto e pronunciato, in maniera automatica, giorno dopo giorno.

22 anni
2 lettere uguali
1 lettera mancante

Ecco cosa succede quando si perde qualcosa, qualcosa di fondamentale, di indispensabile.
Se sono le parole a dare forma al mondo, a delinearlo e a renderne ogni aspetto riconoscibile, cosa rimane a chi ha un nome a metà?

LITTLE MURMUR è la storia di un uomo che negli anni porta avanti una ricerca: trovare la sua A mancante. È la storia di un mondo visto attraverso la lente d’ingrandimento della dislessia, fatto di parole fluttuanti, spesso impossibili da toccare. È la storia di una persona che sembra essere anche quella di ognun* di noi, fatta di tentativi, di impegno, di fallimenti, ma anche di luce, nuove strade e
tanto coraggio. Attraverso il corpo, il linguaggio assume nuove forme, diventa istintivo, immediato e onesto.

Scrivere nell’aria, muoversi in un barattolo di miele, volare insieme a uno stormo di uccelli. La fantasia è il motore, lo spazio diventa pagina, il movimento parola. Nascono così nuovi alfabeti emotivi, nuove lenti con cui scoprire il mondo.