Palestra del feedback: un atelier intensivo dedicato alla condivisione

Palestra del feedback: un atelier intensivo dedicato alla condivisione


Un progetto a cura di shared training torino, Workspace Ricerca X e Lavanderia a Vapore; partecipano Beatrice Bresolin, Lucia Di Pietro, Lucrezia Palandri, Lorenzo De Simone, Lorenzo Giansante, Doriana Crema, Chiara Ameglio, Angela Fumarola, Marco Betti, Paola Granato


La palestra del feedback – ospitata dalla Lavanderia a Vapore dal 19 al 24 settembre, coinvolgendo un gruppo eterogeneo di artisti e curatori – è uno spazio improntato alla sperimentazione di metodologie di lettura e di feedback relative a materiali creativi ancora incompiuti. La pratica del feedback è un approccio fondante nei processi relazionali, collettivi e creativi nonché un tassello imprescindibile di ogni percorso di accompagnamento artistico. L’allenamento incoraggiato da STT e Workspace Ricerca X propone dunque offrire, ricevere e moderare feedback, muovendo dall’idea secondo cui il lavoro comune parta da posizioni diverse e si sviluppi equamente su tre differenti piani: espressione, ricezione e moderazione del feedback stesso.

Tanzmesse 2022: la bellezza di esserci. Un diario di bordo

Tanzmesse 2022: la bellezza di esserci. Un diario di bordo

Le inviate di Lavanderia a Vapore per la mobilità prevista dal progetto How do you spell dance? incontrano – grazie alla preziosa collaborazione di Boarding Pass Plus Dance – alcune significative esperienze internazionali nell’ambito della creazione coreografica. Francesca Rosso – giornalista e istruttrice di protocolli mindfulness – è approdata a Düsseldorf, per seguire la Tanzmesse (31 agosto – 3 settembre 2022). Qui di seguito, un resoconto del suo viaggio.


La gioia di incontrarsi di persona. La Tanzmesse di Düsseldorf è una fiera di danza che si svolge ogni due anni. L’edizione di 2 anni fa è saltata per la pandemia e quindi quest’anno c’era un fermento, un brivido di gratitudine, una felicità negli sguardi e nelle ossa. Che ci si ritrovi agli spettacoli, ai talk, all’agora che è luogo di incontro fra diverse realtà della danza, ci si sorride. Si scambiamo idee, biglietti da visita, visioni, progetti. Ma soprattutto si sorride, si scambia gratitudine per essere qui, in presenza. E le persone che girano con la borsa di stoffa Tanzmesse sorridendo per la città spostandosi da uno studio a un teatro, contagiano tutti, anche chi non è interessato alla danza.

Qui tutto è fluido, tutto è non binario, dai bagni “all genders” all’abbigliamento, dal trucco ai colori: capelli cortissimi o lunghi, orecchini, unghie colorate, pochette, gonne su gambe pelose e polpacci virili: non ci sono canoni da rispettare. Tutto è danza per corpi con ogni tipo di abilità. Tutto è accessibile: linguaggio dei segni, spazi per muoversi in carrozzina, sgabelli o cuscini in terra per chi sta meglio così. Tutto è confronto e piacere di essere qui.

Riceviamo una borraccia di vetro e ovunque troviamo acque aromatizzate. Ci hanno consigliato di non stampare i biglietti ma di salvarli sui telefoni. La danza oggi è anche attenzione all’ambiente.


I Talk & Connect a cui ho partecipato

La formula del Talk & Connect prevede un Keynote Speech, un discorso di circa mezzora tenuto da una persona esperta su un tema specifico, una Panel Discussion di un’ora con artisti che si confrontano affrontando l’argomento da angolazioni diverse e infine una Group Session, un lavoro di gruppo di un’ora e mezza in cui i partecipanti sono direttamente coinvolti in giochi e discussioni.

L’idea è sempre di aprire a più sguardi e significati e non di fornire lezioni. Quando si esce da questi incontri con più domande che risposte, allora hanno funzionato, hanno seminato germogli.

Il tema del primo giorno era (Un)exptected Relations: si è parlato di collaborazioni inter- e trans-nazionali. Quali residui ha lasciato il colonialismo e quali prospettive ci sono?

Al Talk Entangled Embodiment Jay Pather, professore universitario, coreografo e regista sudafricano si è focalizzato su come i paesi africani abbiano incontrato altre culture e come si siano riflesse nei lavori proposti; come modernizzazione e globalizzazione influiscano sui percorsi creativi e come si sia costruito un presunto primitivismo a uso e consumo di chi manipola gestendo il potere e la finanza. Continua ad esistere un atteggiamento “West and the Rest”.

Nella discussione con Maria José Cifuentes di Tacto dal Cile, Angela Couquet dall’Australia, Soohye Jang dalla Corea e Buse Yitdrim dalla Turchia si è discusso di inevitabilità del ricondurre i corpi alla loro provenienza geografica e del rischio di auto-colonialismo.

Nella group session abbiamo giocato a Values of Solidarity. Abbiamo usato le carte di “The Gamified Workshop Toolkit” sviluppate da Anikó Rácz, Doreen Toutikian e Dorota Ogrodzkae nell’ambito di RESHAPE project, per promuovere la comunicazione collaborativa e abbiamo affrontato scenari di ipotetico conflitto e possibili soluzioni con Anikó Rácz.

Il secondo giorno è stato dedicato al tema (Un)apologetic Bodies con l’artista disabile, “crip” e ricercatrice Kate Marsh che ha parlato di Radical Imagination partendo dal libro di adrienne maree brown (le minuscole sono volute dall’autrice ndr) “Pleasure Activism. The Politics of Feeling Good” e di come spostare l’attenzione dalla rabbia alla gioia, al piacere e alla compassione renda l’attivismo coinvolgente e pieno di amore, dignità e felicità.

Nella discussione si sono confrontati Sindri Runudde dalla Svezia, Saša Asentić, artista serbo che vive in Germania, Brian Solomon di electric moose dal Canada, la cubana Yanel Barbeito di Unusual Symptoms e si è parlato di disabilità. Brian Solomon, artista queer, disabile e indigeno, ha detto che l’unico fenomeno davvero inclusivo, che si può avvertire con qualsiasi disabilità, è il temporale che ha luci, suoni, profumi e vibrazioni percepibili da tutti.

La sessione di gruppo gestita da Charlotte Drath, Jane Dreiß & David Lakotta di planpolitik era su “Empowerment & Allyship”. Dopo aver giocato a uno strano

 “Bingo” fatto di domande per conoscerci meglio abbiamo discusso tutti insieme sui temi proposti.

L’ultimo giorno è stato dedicato a (Un)probable futures. L’uruguaiana Tamara Cubas ha parlato di Artistic Practices as social Experience provocando il pubblico sul fatto che l’arte non cambi il mondo. Dopo aver lavorato con i minori in carcere e con i trans ha parlato del fatto che evitiamo il dolore in tutti i modi ma solo sentendolo possiamo provare a generare cambiamento.

Nella discussione a cui partecipavano Barbara Poček dalla Slovenia, Arkadi Zaides da Israele e Mamela Nyamza dal Sudafrica, quest’ultima ha parlato di come sia più difficile per una donna africana essere artista e quanto il rischio dell’esotismo e di compiacere il pubblico sia sempre presente.

Nella sessione di gruppo abbiamo discusso in piccoli gruppi su cambiamento sociale e ostacoli possibili. Lo abbiamo fatto lasciando risposte scritte alle domande sui tavoli all’aperto sotto il gazebo e trovandoci poi insieme dopo aver camminato fra le parole.

Molto interessante anche l’incontro Punk = dead, Print = dead, Dance = next – The future of dance criticism organizzato dall’associazione Tanz che promuove l’indipendenza del giornalismo di danza.

Giornalisti, studiosi e blogger si sono confrontati sul fatto che sui giornali e sugli altri media ci sia sempre meno spazio per la critica di danza e di come immagini, film e testi proposti sui social dalle compagnie e dai teatri cerchino di manipolare in qualche modo l’audience. Le strategie di marketing sostituiranno la competenza?


Simple

Le Performance a cui ho assistito

Black Noname Sosu (Corea)
Nel buio un piccolo neon illumina porzioni di corpo. Raddoppia, mostra gambe e braccia e schiene che si muovono con gesti fluidi fino a perdere le loro connotazioni di parti anatomiche. Si generano strutture, architetture, costruzioni astratte. Le luci cambiano forma, parallelepipedi inseguono i danzatori e le danzatrici che poi giocano fra equilibri e possibilità. Tutto scorre, lento e ipnotico nel mare nero della scena che tutto inghiotte.

Simple Ayelen Parolin/Ruda (Belgio)
Tre uomini in scena con tutine a macchie colorate giocano ripetendo un semplice e divertente gioco: ora non c’è musica, ora i suoni dei passi diventano colonna sonora, ora si canta. Spariscono tutti e tre, creano un ritmo con dei bastoncini colorati, uno di loro ripropone il movimento buffo del compare ma con una variante, si scherza, si spacca tutto. Giocare è una cosa seria. E la danza fa sorridere.

The Ecstatic Jeremy Nedd & Impilo Mapatansula (Svizzera)
L’incontro-scontro fra sei danzatori di colore e due subculture sudafricane. Da una parte pantsula, una forma di danza energetica nata durante l’Apartheid in cui il lavoro dei piedi, rapidi e precisissimi, è protagonista. Dall’altra la Praise Break, nata nel contesto della chiesa pentecostale. Un dialogo che mischia i confini fra estasi e catarsi nell’alternarsi di ritmi, tempi, suoni, melodie e naturalmente danza.

Arrangement Joe Moran Dance Art Foundation (Gran Bretagna)
Come si possono rappresentare uomo e mascolinità nella danza? Sei uomini giocano in scena incarnando questa domanda. Sono i gesti, l’abbigliamento, l’atteggiamento a generare ambiguità? Fuori dal binarismo c’è un mondo giocoso, potente, rivoluzionario, queer, lontano da stereotipi e barriere, pronto a urlare, a lasciarsi interrogare dal pubblico, a costruire faticose torri umane e sciogliersi nel divertimento.

Francesca Rosso

L’universale nel situato: pratiche di confronto per un’indagine sulla rilevanza della mediazione artistica e culturale

I Paesi europei concordano sull’importanza di un’esperienza artistica e culturale dei giovani per sviluppare la loro creatività, il loro pensiero critico, il loro senso di cittadinanza. Come si concretizzano tali valori nei diversi contesti geografici?

Il 22 giugno scorso il Centre National de la Danse di Pantin ha organizzato una giornata di studio dal titolo “L’EAC en Europe: regards croisés” per interrogarsi sul carattere situato oppure universale dell’educazione artistica e culturale; al simposio hanno preso parte formatori, artisti, manager culturali, curatori e direttori di strutture provenienti da diversi paesi europei: Belgio, Italia, Paesi Bassi, Germania e Francia. La mattinata è stata dedicata a una riflessione sul tema della formazione; la sessione pomeridiana, invece, a una condivisione di progetti per il giovane pubblico. Una giornata di testimonianze e dibattiti, dunque, tra professionisti di disparata origine per ispirare riflessioni e confronti sulle pratiche di mediazione della danza.

Anche la Lavanderia a Vapore, Casa Europea della Danza di Collegno, ha offerto il proprio contributo alla discussione condividendo l’esperienza di Media Dance, progetto di innovazione didattica che – dal 2015, attraverso le arti performative – si rivolge alle comunità di studenti degli istituti secondari di primo e secondo grado.

La richiesta del CND ai relatori è stata quella di condividere l’esperienza tramite una pratica rappresentativa dell’approccio metodologico portato all’attenzione degli intervenuti. A tal scopo, è stato coinvolto il coreografo e regista multimediale Salvo Lombardo, dal 2021 artista associato della Lavanderia a Vapore, con il quale, in questi anni, l’area “Innovazione & Ricerca” si è spesso interfacciata per sviluppare preziose progettualità; l’artista era altresì presente in rappresentanza della propria categoria professionale, una categoria che ha proficuamente partecipato alla costruzione delle visioni alla base delle traiettorie del Centro di Residenza (e del settore “I & R” in particolare).

Da un lato, la condivisione di una domanda, che dischiude una comune via di ricerca; dall’altro, lo sviluppo di progettualità in dialogo con le comunità che fruiscono di tali proposte, immaginate e poi realizzate. Sono – questi – i due elementi metodologici che, in questi anni, hanno guidato lo sviluppo di progettualità complesse. Una complessità raggiunta proprio perché costruita progressivamente, grazie al dialogo, alle competenze, alle conoscenze messe a sistema da un gruppo di interesse interdisciplinare composto da creatori, mediatori, traduttori culturali e beneficiari di uno specifico contesto. Spazi di convergenza, sostenuti dalla fiducia reciproca, in cui confluiscono punti di vista diversi capaci di esercitare il potere dell’intelligenza collettiva e di costruire percorsi di senso e di valore comune.

Dal 2015 a oggi la domanda da cui Media Dance ha preso avvio è sempre stata: “In che modo il linguaggio dell’arte della cultura e il luogo teatro possono rappresentare un valore e un senso per la comunità scolastica?”. Un interrogativo – questo – che ha guidato la costruzione della relazione con gli insegnanti, permettendo l’individuazione di uno spazio di senso per il mondo della scuola rispetto alla fruizione delle arti performative. E all’interno di questo perimetro si è stato strutturata la progettualità, di concerto con gli artisti.

Media Dance, nel tempo, ha visto comporsi e intersecarsi una serie di azioni: dapprima una stagione di danza dedicata ai ragazzi, programmata secondo criteri condivisi con la comunità scolastica; dopodiché residenze d’artista a scuola per esplorare nuovi approcci alla didattica e laboratori dedicati alla coesione del gruppo classe al benessere degli insegnanti nonché alla mappatura dei rispettivi bisogni. A rivelarsi fondamentale in un’ottica di sviluppo, è stata anche la condivisione della domanda di cui sopra con altri comparti della società civile, interessati a specifici aspetti dell’universo dell’istruzione, dalla promozione della salute all’innovazione didattica. Dal 2019, infatti, l’Ufficio scolastico territoriale di Torino, l’Università degli Studi di Torino, l’Università di Milano Bicocca, così come Dors Piemonte e l’Asl To 3 sono divenuti parte del progetto in qualità di membri del Comitato Scientifico.

In definitiva, nel corso di questa giornata a vocazione europeista promossa dal CND di Pantin, appassionante e partecipata, la pratica dello sharing di domande e interrogativi, vissuta in un contesto di vasto respiro, ha spalancato prospettive e potenziali immensi di sviluppo, sottolineando però anche la necessità di approfondire ulteriormente questo confronto internazionale a livello locale, per riconoscersi negli altri e quindi incontrare sempre di più l’universale nel situato, indagandone la rilevanza.

Mara Loro, direttrice di Hangar Piemonte

Tra performance, ecologia e lirica alle porte di Deptford. Uno sguardo sulle note marine di Sun & Sea

Tra performance, ecologia e lirica alle porte di Deptford. Uno sguardo sulle note marine di Sun & Sea

La climate opera ricreata su una spiaggia fittizia – Leone d’Oro alla Biennale di Venezia 2019 – raggiunge i sobborghi di Londra, inserendosi nella cornice del LIFT Festival, nota kermesse teatrale a vocazione internazionale, nata nel 1981 nella capitale inglese.

Immagina una spiaggia – ti ci ritrovi dentro, o meglio la osservi dall’alto: il sole cocente, la crema solare, i costumi da bagno scintillanti, i palmi delle mani e le gambe completamente sudati. Le membra stanche si distendono pigramente su un mosaico di asciugamani. Immagina lo strillo occasionale dei bambini, le risate, il rumore di un furgone dei gelati in lontananza. Il ritmo musicale delle onde sulla spuma del mare, un suono rilassante (in questa specifica spiaggia, non altrove). Lo scricchiolio dei sacchetti di plastica che volteggiano nell’aria, il loro silenzioso galleggiare in superficie, simile a quello di una medusa. Il rombo di un vulcano, o di un aereo, o forse di un motoscafo. Dopodiché, un coro di canti: canti quotidiani, canti di preoccupazione e noia, canti pieni di “quasi nulla”. E, al di sotto, il lento crepitio di una Terra esausta, che sussulta.

Così Lucia Pietroiusti, curatrice di Sun & Sea (Marina) nonché fondatrice del progetto General Ecology alle Serpentine di Londra, azione strategica e inter-organizzativa volta all’attuazione di principi ecologici grazie a specifici programmi per il pubblico delle Galleries. La nota performance, firmata da un team tutto al femminile di artiste lituane, raggiunge così la periferia londinese, albergando temporaneamente presso un pittoresco sobborgo a Sud del Tamigi in cui gli incidenti fra biciclette e monopattini diventano occasioni per insoliti abbordaggi.

È dunque dall’incontro tra la drammaturga Vaiva Grainytė, la visual artist e filmmaker Rugilė Barzdžiukaitė e la musicista Lina Lapelytė che germina questo strano concerto balneare, tenuto a battesimo tre anni fa a Venezia, ivi ottenendo l’agognata palma come Miglior partecipazione nazionale. Replicato nelle stagioni a seguire al BAM di New York, a Mosca, al MOCA di Los Angeles e all’Argentina di Roma, lo spettacolo – la cui tournée lambirà nei prossimi mesi anche Helsinki, Barcellona e Lisbona – ha fatto appunto tappa, dal 23 giugno al 10 luglio, al LIFT Festival d’Oltremanica, votato per quest’edizione al grido del “Back to Earth”.

I groundling vengono accolti al piano superiore dell’Albany e – armati di libretto – si dispongono circolarmente lungo la galleria superiore della sala, una sorta di balconata metallica che strizza l’occhio in chiave postmoderna alle playhouse elisabettiane di South Bank. Per quanto Sun & Sea non ne sia certo l’artefice, lo schema scenico a pianta centrale con visione dall’alto – qui adottato – risulta comunque assai suggestivo, a tratti ipnotico. La performance operistica, in rotazione continua con slot di fruizione della durata di circa 30 minuti, riproduce fin troppo didascalicamente il setting di una spiaggia affollata, con creme solari, costumi da bagno, palloni in plastica, asciugamani, sandwich e sdraio. La luce che si spande nell’ambiente è però, a ben guardare, tutt’altro che estiva: i numerosi fari incatenati alla graticcia si proiettano infatti a terra in maniera fredda, angosciosa, analitica, vivisezionando oggetti e corpi come se fossero disposti sopra un tavolo settorio.

A determinare un interessante contrasto con queste “nature vive” e iper-dettagliate (la cui più emblematica ipostasi risulta essere il cane che scorrazza attorno all’ensemble, descrivendo da parte sua un’imprevedibile linea drammaturgica) sono le litanie del quotidiano, intonate a turno – ora in assolo, ora in duetto, ora in coro – dagli attori-salmodianti: sprazzi di storie che scivolano tra il sinistro e il surreale, tra il mondano e il banale (nel senso di ordinary).

Gli spettatori-testimoni, frattanto, scrutano l’happening dall’alto, liberi di muoversi scegliendo un proprio focus d’attenzione. La spiaggia e i suoi inquilini, tuttavia, sembrano tradire la promessa di mesmerismo annunciata nel foglio di sala: difficile infatti non cogliere in Sun & Sea, pur giustamente acclamato dai grandi del «The Guardian» e del «New York Times» (e, in effetti, lavoro di cesello e cura delle cromie sono qui indiscutibili), un certo voyeurismo, che sfocia occasionalmente in una sorta di melodrammatico virtuosismo o comunque nell’incapacità di catturare a pieno l’osservatore, di istituire con lui un’interazione emotiva. Insomma, di immergerlo nella battigia.

Raffinato e amabilmente sarcastico è il testo, che – oltre a rinverdire la tradizione operistica, data dai più per morta – suona come un epigrammatico monito: se altrove stride, Sun & Sea riesce quindi perfettamente nell’intento di esplorare – a livello tattile e insieme sonoro – la relazione tra invasione antropica e pianeta, tra corpi e natura, configurandosi (in questo senso sì) come una performance ecologica.

Matteo Tamborrino
(ringrazio – per alcuni spunti di riflessione – Alice, Monica, Riccardo e Valentina, che hanno condiviso con me questa visione)

Un’opera-performance di Rugilė Barzdžiukaitė, Vaiva Grainytė e Lina Lapelytė
testi Vaiva Grainytė
traduzione inglese dal lituano Rimas Užgiris
musiche e direzione sonora Lina Lapelytė
regia e scenografia Rugilė Barzdžiukaitė
curatrice Lucia Pietroiusti
produzione (tournée) Aušra Simanavičiūtė
produzione e direzione di scena Erika Urbelevič

Vista a Deptford (London), The Albany, il 10 luglio 2022