Pier Paolo Rovero, docente di fumetto dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
Ho accettato di partecipare al vostro progetto Convergenze Creative perché ritengo che il fumetto possa essere un linguaggio idoneo anche per chi lavora con il teatro e con la danza. Quando ho iniziato ad approcciarmi a questo mondo, erano gli anni ’80-’90 e il fumetto era considerato un prosieguo del cinema: “È come il cinema ma senza la necessità di un budget” era l’impostazione delle scuole del fumetto; “Voi siete come i registi cinematografici” dicevano a noi insegnanti (e, in effetti, il fumetto è diviso per generi). Con l’avvento della computer grafica c’è stata una grossa rivoluzione a livello globale e, di conseguenza, anche nel fumetto le cose sono cambiate. Oggi tutti pensano che il fumetto si sia avvicinato alla letteratura, al romanzo, io invece credo che sia molto simile all’assistere ad uno spettacolo dal vivo. In questi ultimi anni sono di moda le graphic novel, la cui caratteristica principale è che gli autori hanno una loro cifra stilistica molto riconoscibile; la vignetta diventa il palcoscenico e il patto è una finzione consapevole per entrambi, autore e lettore. La graphic novel è, pertanto, una sorta di spettacolo organizzato da un artista per il lettore, è un’esperienza molto più estetica di quella del fumetto.
L’accademia, più di altre scuole, ha sposato questa vocazione; c’è ancora la tendenza a credere che i fumettisti si debbano nutrire solo di fumetto invece, ora più che mai, non è così. Il progetto di audience engagement “Convergenze creative” per me è stato fondamentale perché mi ha riportato alla mia missione: intercettare stimoli e chiedere agli studenti di rielaborarli in chiave personale. Se io offro questi stimoli ai miei studenti, come è successo durante la residenza di Convergenze Creative, cambio il loro approccio e li incentivo a esprimersi in modo più libero. Il fatto che la vignetta diventi un palcoscenico è proprio una cosa di cui sono convinto: aiuta a coltivare, per esempio, idee registiche; a interrogarsi su come ragiona un coreografo per allestire uno spettacolo; a come si possono tradurre creativamente, attraverso il disegno, i colori e le luci di uno spettacolo.
In qualità di docente ritengo che sia fondamentale mettere gli studenti in contatto con artisti che non sono fumettisti, per consentire loro di esprimersi sempre con maggiore libertà; selezionare gli stimoli piuttosto che orientare i contenuti. Parlare di danza agli studenti significa metterli di fronte a qualcosa che non conoscono e stimolarli o ancora metterli nella condizione di farsi stimolare dall’artista, per capirne le scelte estetiche e per ragionare, poi, in piena libertà. Per me oggi fare didattica significa oltrepassare i limiti, nel mio caso i limiti del fumetto.
Edoardo Audino, studente del corso di Arte del fumetto dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
Sono entrato in contatto con la realtà della Lavanderia a Vapore mentre studiavo presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, a Torino. Frequentando il corso di Arte del Fumetto, del Professor Pier Paolo Rovero, oltre agli elaborati prettamente accademici, noi studenti abbiamo avuto la possibilità di disegnare dei racconti a fumetti, elaborando sceneggiature basate sul progetto Convergenze Creative, con un particolare focus sulla residenza di Salvo Lombardo. Nella realizzazione di questi elaborati mi si sono presentate delle sfide interessanti. In primo luogo si è trattata di una delle prime occasioni in cui ho dovuto elaborare dal punto di vista grafico testi non miei. Avendo piena libertà, ho dovuto, quindi, unire la mia visione del fumetto, e più in generale della narrazione, ai testi forniti. Si è trattato di apprendere e applicare nozioni di disegno, grafica, regia e narrativa sequenziale, coniugando i temi trattati e cercando di ottenere la miglior sinergia possibile tra parole e disegno.
Si è trattata di un’occasione che mi ha fatto comprendere non solo quanto la parola può influire sull’immagine, ma quanto l’immagine abbia la potenzialità di rendere la lettura di un testo differente rispetto a come inizialmente pensato, e di riuscire ad aggiungere significati ad esso. È una continua lotta tra forma e contenuto, all’interno della quale è necessario non far mai prevalere l’una sull’altro, bensì cercare di creare un perfetto connubio tra i due, in modo tale da far perdere il fruitore nella lettura, dimenticandosi di star leggendo un’opera di finzione e facendolo quasi astrarre dalla realtà.
La vera sfida è, però, stata quella di provare a coniugare tutto il lavoro tipico del disegno e del fumetto con il mondo del teatro e della danza. Il disegno è statico, esprime in sé un momento chiave dell’azione, mentre la danza è continuo movimento. Nel fumetto, e più in generale nell’arte sequenziale – che spesso vengono confusi, ma sono in realtà due forme ben distinte – il movimento viene espresso in genere attraverso il passaggio da un movimento di stasi ad un altro, lasciando al lettore la possibilità di ‘riempire’ quegli spazi vuoti tra le vignette attraverso la propria immaginazione e le proprie esperienze. Talvolta viene sì espressa un’azione attraverso il pieno culmine di un movimento congelato nel tempo, ma è un movimento che continua ad essere assente, all’atto pratico, ma comunque presente nella mente del lettore. Nel caso di Excelsior: Dietro le Quinte, quindi, ho utilizzato delle pose chiave per i personaggi, come se si estrapolassero da un film i keyframe, o come quando allo spettatore rimangono impresse, nei ricordi, le pose chiave dei movimenti dei ballerini. Ho imparato a dare un’idea delle movenze attraverso un cosiddetto inganno del disegno, che non rappresenta la realtà esattamente per come appare, ma utilizzando delle forme significative che ci permettono di percepire il movimento semplicemente attraverso quello che nel cinema sarebbe un frame chiave. Si tratta di uno dei concetti che va a costruire lo ‘scheletro’ della narrazione visiva attraverso il disegno, che permette di comunicare storie, concetti e movimento nella maniera migliore possibile a chi si approccia all’opera, così come i movimenti della danza associati alla musica suscitano emozioni negli spettatori. Parlando di scheletro, struttura, impalcatura che regge il progetto, il contenuto più consono per essere espresso da questi elementi formali, non poteva che essere la sceneggiatura di Dietro le Quinte. Mostrare tutto ciò che sta dietro all’opera, mostrare tutti i dietro le quinte, gli errori, le paure e le speranze prima di entrare in scena, come quando si sta realizzando un disegno ed è impossibile capire come apparirà una volta ultimato. Mostrare allo spettatore non solo l’emozione del momento o la percezione immediata, ma tutto ciò che avviene prima, tutta la costruzione necessaria per arrivare a un unico momento di stupore.