Le inviate di Lavanderia a Vapore per la mobilità prevista dal progetto How do you spell dance? incontrano – grazie alla preziosa collaborazione di Boarding Pass Plus Dance – alcune significative esperienze internazionali nell’ambito della creazione coreografica. Francesca Rosso – giornalista e istruttrice di protocolli mindfulness – è approdata a Düsseldorf, per seguire la Tanzmesse (31 agosto – 3 settembre 2022). Qui di seguito, un resoconto del suo viaggio.
La gioia di incontrarsi di persona. La Tanzmesse di Düsseldorf è una fiera di danza che si svolge ogni due anni. L’edizione di 2 anni fa è saltata per la pandemia e quindi quest’anno c’era un fermento, un brivido di gratitudine, una felicità negli sguardi e nelle ossa. Che ci si ritrovi agli spettacoli, ai talk, all’agora che è luogo di incontro fra diverse realtà della danza, ci si sorride. Si scambiamo idee, biglietti da visita, visioni, progetti. Ma soprattutto si sorride, si scambia gratitudine per essere qui, in presenza. E le persone che girano con la borsa di stoffa Tanzmesse sorridendo per la città spostandosi da uno studio a un teatro, contagiano tutti, anche chi non è interessato alla danza.
Qui tutto è fluido, tutto è non binario, dai bagni “all genders” all’abbigliamento, dal trucco ai colori: capelli cortissimi o lunghi, orecchini, unghie colorate, pochette, gonne su gambe pelose e polpacci virili: non ci sono canoni da rispettare. Tutto è danza per corpi con ogni tipo di abilità. Tutto è accessibile: linguaggio dei segni, spazi per muoversi in carrozzina, sgabelli o cuscini in terra per chi sta meglio così. Tutto è confronto e piacere di essere qui.
Riceviamo una borraccia di vetro e ovunque troviamo acque aromatizzate. Ci hanno consigliato di non stampare i biglietti ma di salvarli sui telefoni. La danza oggi è anche attenzione all’ambiente.
I Talk & Connect a cui ho partecipato
La formula del Talk & Connect prevede un Keynote Speech, un discorso di circa mezzora tenuto da una persona esperta su un tema specifico, una Panel Discussion di un’ora con artisti che si confrontano affrontando l’argomento da angolazioni diverse e infine una Group Session, un lavoro di gruppo di un’ora e mezza in cui i partecipanti sono direttamente coinvolti in giochi e discussioni.
L’idea è sempre di aprire a più sguardi e significati e non di fornire lezioni. Quando si esce da questi incontri con più domande che risposte, allora hanno funzionato, hanno seminato germogli.
Il tema del primo giorno era (Un)exptected Relations: si è parlato di collaborazioni inter- e trans-nazionali. Quali residui ha lasciato il colonialismo e quali prospettive ci sono?
Al Talk Entangled Embodiment Jay Pather, professore universitario, coreografo e regista sudafricano si è focalizzato su come i paesi africani abbiano incontrato altre culture e come si siano riflesse nei lavori proposti; come modernizzazione e globalizzazione influiscano sui percorsi creativi e come si sia costruito un presunto primitivismo a uso e consumo di chi manipola gestendo il potere e la finanza. Continua ad esistere un atteggiamento “West and the Rest”.
Nella discussione con Maria José Cifuentes di Tacto dal Cile, Angela Couquet dall’Australia, Soohye Jang dalla Corea e Buse Yitdrim dalla Turchia si è discusso di inevitabilità del ricondurre i corpi alla loro provenienza geografica e del rischio di auto-colonialismo.
Nella group session abbiamo giocato a Values of Solidarity. Abbiamo usato le carte di “The Gamified Workshop Toolkit” sviluppate da Anikó Rácz, Doreen Toutikian e Dorota Ogrodzkae nell’ambito di RESHAPE project, per promuovere la comunicazione collaborativa e abbiamo affrontato scenari di ipotetico conflitto e possibili soluzioni con Anikó Rácz.
Il secondo giorno è stato dedicato al tema (Un)apologetic Bodies con l’artista disabile, “crip” e ricercatrice Kate Marsh che ha parlato di Radical Imagination partendo dal libro di adrienne maree brown (le minuscole sono volute dall’autrice ndr) “Pleasure Activism. The Politics of Feeling Good” e di come spostare l’attenzione dalla rabbia alla gioia, al piacere e alla compassione renda l’attivismo coinvolgente e pieno di amore, dignità e felicità.
Nella discussione si sono confrontati Sindri Runudde dalla Svezia, Saša Asentić, artista serbo che vive in Germania, Brian Solomon di electric moose dal Canada, la cubana Yanel Barbeito di Unusual Symptoms e si è parlato di disabilità. Brian Solomon, artista queer, disabile e indigeno, ha detto che l’unico fenomeno davvero inclusivo, che si può avvertire con qualsiasi disabilità, è il temporale che ha luci, suoni, profumi e vibrazioni percepibili da tutti.
La sessione di gruppo gestita da Charlotte Drath, Jane Dreiß & David Lakotta di planpolitik era su “Empowerment & Allyship”. Dopo aver giocato a uno strano
“Bingo” fatto di domande per conoscerci meglio abbiamo discusso tutti insieme sui temi proposti.
L’ultimo giorno è stato dedicato a (Un)probable futures. L’uruguaiana Tamara Cubas ha parlato di Artistic Practices as social Experience provocando il pubblico sul fatto che l’arte non cambi il mondo. Dopo aver lavorato con i minori in carcere e con i trans ha parlato del fatto che evitiamo il dolore in tutti i modi ma solo sentendolo possiamo provare a generare cambiamento.
Nella discussione a cui partecipavano Barbara Poček dalla Slovenia, Arkadi Zaides da Israele e Mamela Nyamza dal Sudafrica, quest’ultima ha parlato di come sia più difficile per una donna africana essere artista e quanto il rischio dell’esotismo e di compiacere il pubblico sia sempre presente.
Nella sessione di gruppo abbiamo discusso in piccoli gruppi su cambiamento sociale e ostacoli possibili. Lo abbiamo fatto lasciando risposte scritte alle domande sui tavoli all’aperto sotto il gazebo e trovandoci poi insieme dopo aver camminato fra le parole.
Molto interessante anche l’incontro Punk = dead, Print = dead, Dance = next – The future of dance criticism organizzato dall’associazione Tanz che promuove l’indipendenza del giornalismo di danza.
Giornalisti, studiosi e blogger si sono confrontati sul fatto che sui giornali e sugli altri media ci sia sempre meno spazio per la critica di danza e di come immagini, film e testi proposti sui social dalle compagnie e dai teatri cerchino di manipolare in qualche modo l’audience. Le strategie di marketing sostituiranno la competenza?
Le Performance a cui ho assistito
Black Noname Sosu (Corea)
Nel buio un piccolo neon illumina porzioni di corpo. Raddoppia, mostra gambe e braccia e schiene che si muovono con gesti fluidi fino a perdere le loro connotazioni di parti anatomiche. Si generano strutture, architetture, costruzioni astratte. Le luci cambiano forma, parallelepipedi inseguono i danzatori e le danzatrici che poi giocano fra equilibri e possibilità. Tutto scorre, lento e ipnotico nel mare nero della scena che tutto inghiotte.
Simple Ayelen Parolin/Ruda (Belgio)
Tre uomini in scena con tutine a macchie colorate giocano ripetendo un semplice e divertente gioco: ora non c’è musica, ora i suoni dei passi diventano colonna sonora, ora si canta. Spariscono tutti e tre, creano un ritmo con dei bastoncini colorati, uno di loro ripropone il movimento buffo del compare ma con una variante, si scherza, si spacca tutto. Giocare è una cosa seria. E la danza fa sorridere.
The Ecstatic Jeremy Nedd & Impilo Mapatansula (Svizzera)
L’incontro-scontro fra sei danzatori di colore e due subculture sudafricane. Da una parte pantsula, una forma di danza energetica nata durante l’Apartheid in cui il lavoro dei piedi, rapidi e precisissimi, è protagonista. Dall’altra la Praise Break, nata nel contesto della chiesa pentecostale. Un dialogo che mischia i confini fra estasi e catarsi nell’alternarsi di ritmi, tempi, suoni, melodie e naturalmente danza.
Arrangement Joe Moran Dance Art Foundation (Gran Bretagna)
Come si possono rappresentare uomo e mascolinità nella danza? Sei uomini giocano in scena incarnando questa domanda. Sono i gesti, l’abbigliamento, l’atteggiamento a generare ambiguità? Fuori dal binarismo c’è un mondo giocoso, potente, rivoluzionario, queer, lontano da stereotipi e barriere, pronto a urlare, a lasciarsi interrogare dal pubblico, a costruire faticose torri umane e sciogliersi nel divertimento.