Ciao Enrico, di cosa ti occupi? E cosa “ti muove”?
Io sono critico di teatro intendendo questa parola nel più ampio significato del termine. Mi occupo di tutto ciò che potrebbe essere racchiuso nell’espressione “spettacolo dal vivo” benché l’espressione non mi convinca fino in fondo. Scrivo per due riviste di rilievo nazionale: Il Pickwick e Paneacquaculture. Mi muove innanzitutto la curiosità di comprendere dove stanno andando le nuove generazioni e le loro ricerche. Mi interessa studiare il sistema nel suo complesso, comprenderne le criticità e, nel mio piccolo, proporre delle riflessioni su cui ragionare per migliorarlo.
Come sei entrato in contatto con la Lavanderia a Vapore, con Zerogrammi e poi con il progetto Permutazioni?
Con la Lavanderia il contatto è avvenuto naturalmente, seguendo gli spettacoli e le rassegne di danza proposte dalla stagione. In seguito sono giunte altre forme di presenza, sia in come fruitore di residenza (penso alla collaborazione con Marco Chenevier, le cui ultime fasi di lavorazione di Confinati dal Paradiso per TorinoDanza si sono svolte proprio in Lavanderia), sia come frequentatore di convegni e attività parallele a quelle performative. Riguardo a Permutazioni tutto è iniziato da un invito ricevuto da Stefano Mazzotta di Zerogrammi, penso tre anni fa. Ho accettato perché credo sia un dovere per un critico occuparsi con responsabilità di ciò che nasce tra i giovani creatori e provare a fare emergere le ricerche più meritevoli di tempo, cura e attenzione.
Quali sono i punti di forza, secondo te, di questo progetto rispetto al territorio piemontese e poi a un ecosistema danza più ampio?
Sicuramente l’attenzione al valore della ricerca in sé, nel coltivarla con spirito contadino, con pazienza e devozione. Il lungo periodo di offerta di residenza aiuta i ragazzi a non avere fretta, male di cui in questi anni siamo tutti affetti, a concentrarsi su ciò che veramente è importante avendo il tempo di porsi domande scomode. Inoltre trovo che il non obbligo a un esito conclusivo, ma piuttosto l’invito concentrarsi sul processo compositivo e creativo, sia il punto focale del progetto. Oggi si mira solo ed esclusivamente a produrre. Riportare l’attenzione sull’immaterialità del processo di creazione artistica, sul suo lavorio di bottega artigianale in cui l’opera sorge dopo molti errori, aggiustamenti, ripensamenti, sia un dovere di fronte alla deriva produttivistica dell’intero sistema. La filiera oggi imbriglia i giovani fin da subito. Non permette loro un fecondo placet experiri ma li invita a a finalizzare il prima possibile senza il tempo di formarsi un vero e solido bagaglio di conoscenze e tecniche, necessarie per una vera crescita.
Nel progetto Permutazioni è spesso citata la figura del tutor: che cosa è per te?
Credo molte cose. Innanzitutto un ascoltatore. Bisogna capire le esigenze vere dei giovani artisti e mettersi al loro servizio. Un maieuta pronto a far sorgere ciò che è già presente nel cuore dei ragazzi e nel processo da loro avviato. Un consigliere, le cui maggiori esperienze possano aiutare i giovani a districarsi nell’orribile selva selvaggia che abbiamo lasciato loro in eredità, ma lasciando che siano loro a compiere le scelte in sintonia con il proprio sentire e la propria coscienza. E, da ultimo, la cosa più difficile: il farsi da parte quanto non si è più utili. A volte c’è la tentazione di esser parte o di continuare a guidare anche laddove vi è ormai la capacità di correre da soli. È tutto molto difficile. Si impara insieme ai giovani, si sbaglia insieme, si cresce insieme.
Sappiamo che sei un critico molto attivo e che le tue visioni si contraddistinguono per onestà e concretezza. Con questi stessi presupposti vuoi darci un punto di vista (e qualche esempio) sul futuro della danza?
Questa domanda necessiterebbe di una lunga risposta. Forse direi una capacità nella vecchia generazione, che per ora non vedo, a ripensare il sistema emendandone gli errori. Vi è una responsabilità in ciò che si è costruito, e quindi conseguentemente vi è una pari responsabilità nel correggere gli errori di cui si è stati causa. Bisogna lasciare un mondo migliore a quello che ci è stato lasciato in eredità. Poi sarà un dovere dei giovani costruire un altro mondo. Ma dobbiamo donare gli strumenti affinché possano farlo.