FRAMMENTI NOTTURNI

FRAMMENTI NOTTURNI

Ciao, 

ti invito a leggere i frammenti che seguono, come si legge una poesia, prima di andare a dormire.  

Cerca una piccola calma. Concediti qualche respiro profondo.  

Entra lentamente nelle parole, lasciati accompagnare dal loro suono e dal ritmo dello scorrere. 

Se necessario torna indietro. 

La qualità del tempo accende significati. 

Buon viaggio 

Questi frammenti nascono da un’operazione alchemica che fonde parole, sensazioni, riflessioni, memorie, di alcuni dei partecipanti alla Evening School on Care, un viaggio formativo sul tema della cura, attraverso pratiche, posture informali, orizzontali, trasmissione e costruzione di saperi a partire da esperienze e condivisioni collettive.  

Cosa rimane di questa immersione sensuale, guidati da un immaginario notturno?

 

Con forza e semplicità, rimane l’affermazione della cura quale pratica da agire quotidianamente, che richiede sforzo, dolcezza, resistenza, luce, buio. 

Ma cosa facciamo quotidianamente, per non cadere nell’incuria? 

Come teniamo viva quella attenzione e vibrazione di cui abbiamo tanto bisogno? 

Guidata da queste domande, ho pensato di proseguire il viaggio e realizzare 7 amuleti scaccia incuria

Uno per ogni giorno della settimana. 

Saranno 7 amuleti poetici, ognuno realizzato attorno a una parola. 

Ne ho già in mente alcune, ma visto che stiamo pensando collettivamente al concetto di cura, ti chiedo, quali sono le tue parole che tengono viva la cura? 

Eugenia Coscarella 

THE DREAM OF A TIGER

THE DREAM OF A TIGER

The following is an assemblage of traces from the social dreaming practice led by Edoardo Mozzanega and Chiara Prodi, artists in residency at Lavanderia a Vapore in September 2023 with the project Dream of a Tiger.

Social dreaming dates back to the 1980s when it was developed as a method of sharing dreams in social environments. Mozzanega and Prodi introduced an expanded version of the practice, inviting the participants to share stories, dreams and rumours in the present tense and first person, and with that, shaping a collective dream matrix of imagining, listening and resting with the theme:

I ONCE KILLED AN ANIMAL

I ONCE FEARED TO BE KILLED BY AN ANIMAL

The following collages are composed of some recurring images from the collective dreaming. They take the contrast between the dreamy and the morbid as a starting point, visualizing a similarity between the tradition of how we culturally tell stories and how we regard animals. The text is underlined fragments from Ursula le Guin’s „My Carrier Bag Theory of Fiction“ that the artists had with them in the studio. It describes the function of an arrowlike narrative… a story arc as linear as the spear that killed the mammoth...

Dreaming documented by Kadri Sirel

TABULA RASA: Accadere nella domanda

TABULA RASA: Accadere nella domanda

di Eugenia Coscarella*
partecipante a Tabula Rasa: ricerca aperta | sharing
di e con Doriana Crema
4 ottobre 2022

Arrivo. Arriviamo.
Il silenzio è pieno e le sedie vuote.
Tutto è già lì, segnato, nel vuoto,
pronto ad accadere.
Allora accadiamo.

Io sono accaduta qui.
Vicino a te, lontano, altrove.
Nello spazio vuoto, tra buio e luce, noi siamo.
E altrove qualcuno ci ha già raccontato.

Ascolta “Il viaggio del testimone” su Spreaker.

Ti saluto, abbi cura dello spazio vuoto.

Podcast: parole e voce di Elena Pugliese, artista del TRA, tratto da Il viaggio del testimone, restituzione degli sharing di Tabula Rasa.

* la modalità di lavoro messa in gioco attinge a una ricerca avviata nel 2019, insieme al poeta Massimiliano Bardotti, relativa al dialogo tra danza e poesia e alle modalità di emersione della parola dal corpo, a partire da un macro-tema di ispirazione.




Vegetale, tecnologico, umano. L’indagine a tre livelli di Flavia Zaganelli e Cecilia Stacchiotti

Vegetale, tecnologico, umano. L’indagine a tre livelli di Flavia Zaganelli e Cecilia Stacchiotti

L’opera electrica /ecosi’stɛma/ – in residenza alla Lavanderia a Vapore fino allo scorso 22 febbraio – è un’indagine performativa sulla relazione fra tre universi: il vegetale, il tecnologico e l’umano. La fase di ricerca a Collegno di Flavia Zaganelli e Cecilia Stacchiotti (in arte Ceci Stuck) precede il debutto del lavoro, programmato per il 25 febbraio allo Spazio Kor di Asti, all’interno della stagione NODO PIANO curata da Chiara Bersani e Giulia Traversi. Lasciamo la parola alla danzatrice e alla compositrice elettronica per esplorare alcuni passaggi della creazione.


Da dove deriva la scelta di servirsi di un vasto immaginario vegetale? Quale funzione svolgono, in altri termini, le piante in questa vostra creazione?

FLAVIA: La ricerca prende avvio proprio da una grande fascinazione per il mondo vegetale; un’attrazione sostenuta da letture approfondite, senza tuttavia una vera e propria competenza scientifica in materia. Il nostro interesse precipuo riguarda la creazione di una relazione a tre, tra corpo umano, elemento vegetale e dimensione tecnologica (vale a dire, tutto l’apparato che usa Cecilia per produrre suono a partire dagli impulsi elettrici sprigionati dalle piante). Le piante, dunque, giocano un ruolo di fondamentale importanza. Il tentativo è “stare” all’interno di un meccanismo di relazioni circolari, anziché piramidali: non vi è mai, insomma, un elemento che prevalga, sebbene – a seconda dei momenti – l’uno o l’altro sembri imporsi. Uno dei meccanismi principali del lavoro è l’utilizzo di un dispositivo, o meglio di un circuito arduino di biodata sonification chiamato Midi Sprout, che grazie a dei sensori apposti sulle foglie (simili a quelli utilizzati negli elettrocardiogrammi) recepisce il passaggio di corrente. La “pianta madre” è collegata alle altre due attraverso un filo di rame, che sbuca dal terreno della prima, compie un giro attorno alla seconda e si immerge infine nelle radici dell’ultima: questo percorso amplifica la trasduzione del passaggio di corrente, potenziando quello già esistente per natura. A livello coreografico, cerco di attivare una relazione anche con il corpo. Un corpo – ça va sans dire – il più possibile aperto, rilassato, fedele a quanto percepisco e sento nel preciso istante. Un corpo, insomma, che sta in ascolto, principalmente del sé. All’inizio della ricerca entravo in questo setting rimanendo molto fuori da me stessa, proiettandomi nell’ascolto del campo elettrico esterno. Pian piano però, lavorando su questo aspetto, mi è parso di capire che abbia ben più senso ascoltarsi, per potersi poi virtuosamente aprire alla relazione, di qualunque tipo essa sia. Il dialogo si sviluppa attraverso degli stati e dei gradi di pratica: il primo è il tentativo di aprire il corpo in una situazione di rilascio quasi meditativo. Dopodiché Cecilia si posiziona dietro il mixer e parte la musica. Io, nel frattempo, inizio a esplorare lo spazio, istituendo un dialogo che ha più a che vedere con la mimesi, intesa non tanto come imitazione della forma delle piante (operazione che risulterebbe, in effetti, piuttosto banale), bensì in quanto approccio, riflesso umano autentico. Capita spesso, infatti, pur non conoscendo una persona, di prenderne – quasi istintivamente – le forme, il modo di esprimersi, di gesticolare, di muoversi. Con il tempo ho iniziato ad accettare questa dinamica, sebbene la volessi eliminare in principio perché mi sembrava eccessiva, didascalica. Invece ora la sto assorbendo. Tornando ai momenti dello spettacolo, poco per volta entra – in maniera sempre più preponderante – il suono e quindi anche l’elemento elettrico prodotto dalle piante. Io continuo, attraverso il corpo, a rimanere in ascolto di tutto ciò che avviene a livello sonoro, visivo e fisico dentro di me. E si crea così un pattern, una sorta di 8 che descrivo danzando attorno alle piante. Ed è quello il vero momento di dialogo: lì resto nella mia condizione di movimento, ora spontanea, ora volitiva, ora morbida. Una duplice condizione di ricezione ed emissione.

Nella scheda artistica sono chiarite puntualmente le piante da utilizzare, che assurgono al rango di protagoniste nei crediti dello spettacolo.

FLAVIA: Esatto. Le piante richieste sono appunto queste [le indica sulla scena]. Poi, naturalmente, ogni volta presentano forme diverse, quindi muta anche la relazione che si va instaurare tra me e loro. A destra vedete la Monstera Deliciosa, che appartiene alla famiglia dei rododendri, le prime piante a essere utilizzate in esperimenti con sensori già dagli anni Cinquanta-Sessanta (erano quelli per brevettare le macchine della verità). Questo gruppo vegetale risponde molto bene agli stimoli perché possiede un fogliame molto largo; pertanto si osserva un copioso passaggio di energia, di elettricità, non troppo compressa come invece avviene nelle piante grasse. Sono insomma degli ottimi trasduttori. Per le altre due – il Ficus Lyrata e l’Eugenia Myrtifolia – il discorso è pressoché identico: anch’esse mostrano foglie abbondanti e assai resistenti. Sono tutte e tre – peraltro – piante da interno, abituate a quegli stress necessariamente subiti per via del trasferimento da un luogo all’altro. Sono tenaci, forti. La scelta dipende anche da ragioni di ordine estetico, legate al mercato delle piante. Il Ficus, l’Eugenia e la Monstera sono infatti piuttosto comuni da trovare in uffici e negozi, essendo piante d’arredo, molto gradevoli alla vista. Mi stuzzicava quindi l’idea di utilizzarle per sottolineare l’enorme carica vitale, spesso data per scontata, di soggetti comuni, visibili ovunque.

Passando invece al corpo sonoro?

CECILIA: Nel primo segmento dell’opera-installazione, il mio ruolo è mettere in risalto, in evidenza, attraverso il suono quell’energia che si genera nello spazio. Inizialmente è un piccolissimo microfono, una capsula, a realizzare tale obiettivo: lo muovo io un po’ nell’aria, mettendolo in risonanza. Attraverso degli altoparlanti si crea così un feedback, modulato all’occorrenza dal vivo. Questo già inizia a dar vita a una sorta di tensione. La pianta reagisce frattanto al suono, che la attiva, la mette in moto. Così come mette in moto anche Flavia, la quale comincia nell’ecosistema delimitato dai vasi. In origine avevamo assegnato dei suoni predeterminati a ciascuna pianta. Abbiamo poi virato su altre soluzioni: di fatto, diamo alla pianta la possibilità di scegliere, a seconda degli impulsi che emana, tra specifiche parti di file, che non sono altro che le registrazioni dal vivo realizzate sulla scena. In poche parole, è la pianta che “suona le parti che vuole suonare”. Ci sono poi passaggi in cui Flavia rivolge alla pianta delle parole tramite il microfono e la pianta – specularmente – decide come rileggerle. Nel finale, invece, il corpus vegetale suona un synth producendo una sonorità più violenta, in un crescendo, in una climax, in un’esplosione di elettricità.

Se ho ben capito, quindi, attraverso i sensori voi leggete gli impulsi elettrici che la pianta possiede e che vengono anche provocati da stimolazioni sonore o interazioni con il tuo corpo, giusto? Si crea così un dialogo, amplificato dai tre piani simultanei della composizione.

FLAVIA: Sì, a fungere da collante è il campo elettrico. Nella pianta, di suo, già scorre un’energia vitale, così come accade all’interno di ciascun corpo umano. Chiaramente in uno spazio fisico in cui si trovino delle persone – a maggior ragione se queste si muovono – si altera la carica energetica ed elettrica dell’ambiente, insieme a quella della pianta stessa. Quest’ultima diventa così un trasduttore, un trasmettitore, di quanto percepisco. Tanto più in un teatro, dove si attivano luci e molteplici fonti di calore.

Di conseguenza, a ogni “replica” lo spettacolo è diverso.

CECILIA: Esatto. Infatti la sfida grande di questo lavoro è il restare il più possibile sincere alla relazione che si instaura nel qui e nell’ora. Le piante infatti, da parte loro, rispondono in maniera sempre autentica e quindi imprevedibile.

electrica /ecosi’stɛma/
CORPO VEGETALE Monstera Deliciosa, Ficus Lyrata e Eugenia Myrtifolia
CORPO TECNOLOGICO Sintetizzatore analogico, Biodata sonification Device, PC, Ableton Live
CORPO UMANO
FLAVIA ZAGANELLI // concept, ricerca, creazione, danza, voce
CECILIA STACCHIOTTI // ricerca e suono
FABRIZIO PIRO // disegno luci
ELENA MATTIOLI – LELE MARCOJANNI // video
electrica /ecosi’stɛma/ è stato ospitato in residenza da: Santarcangelo Festival, DAS Dispositivo Arti Sperimentali, Fienile Fluò con il sostegno di h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza in collaborazione con Crexida, Paleotto11.NO TITLE nella versione EXPANDED ha vinto il Bando Abitante 2021 ed è stato ospitato in residenza da P.I.A. Palazzina Indiano Arte e Corniolo Art Platform, dando vita ad INVISIBILIA, progetto realizzato con il sostegno di Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e di Fondazione CR Firenze

Intervista a cura di Matteo Tamborrino

Piante venefiche e relazioni tossiche nel metaverso: un’intervista a Kamilia Kard

Piante venefiche e relazioni tossiche nel metaverso: un’intervista a Kamilia Kard

Sabato 11 febbraio, all’interno della cornice di onLive Campus, Kamilia Kard – artista e docente con base a Milano – ha lavorato con alcuni danzatori per sviluppare un pattern coreografico tradotto poi in algoritmo, all’interno dello spazio digitale dell’azione performativa da lei firmata, Toxic Garden – Dance Dance Dance. L’eponimo e venefico giardino – nato da una fase di ricerca avviata presso la Lavanderia a Vapore di Collegno a settembre scorso, nell’ambito delle Residenze Digitali – aveva trovato un primo debutto online tra l’8 e il 10 novembre (scopri di più).


La ricerca di Kard, dottoressa in Digital Humanities all’Università di Genova e docente di Comunicazione Multimediale a Milano e a Carrara, esplora il modo in cui l’iperconnettività e le nuove forme di comunicazione online modifichino e influenzino la percezione del corpo umano, della gestualità, dei sentimenti e delle emozioni. Dal 2011, i suoi lavori vengono spesso esposti presso gallerie, festival e istituzioni di risonanza nazionale e internazionale. La sua ultima creazione, Toxic Garden – Dance Dance Dance, si configura come una serie di performance partecipative online ambientate in un metaverso creato ad hoc su Roblox, popolarissimo massively multiplayer online game (MMO). I partecipanti, attraverso i propri avatar, sono coinvolti in balli di gruppo sincronizzati, su coreografie che combinano passi di danza registrati in motion capture, in collaborazione con performer, e tratti da videogiochi famosi. Il progetto mira alla costituzione di una comunità temporanea i cui membri siano invitati a riflettere su questioni di identità, genere e inclusività nell’ambiente virtuale di Roblox, uno dei principali luoghi virtuali di incontro e socializzazione per gli adolescenti. Attraverso la sincronizzazione del movimento e l’utilizzo di skin speciali disegnate per l’occasione, la danza collettiva diventa un rituale di aggregazione che sprona a liberarsi del fardello del proprio alter-ego virtuale.

Kamilia, quale ruolo svolge, nell’ambiente virtuale da te creato, l’immaginario vegetale?

Parlando di rapporti pericolosi, volevo dar vita a una realtà che rappresentasse al meglio, in modo naturalmente metaforico, questo intreccio di relazioni. Di conseguenza ho pensato a un “florilegio” di piante velenose, a un giardino composto da presenze vegetali che fossero comunque a me comuni, familiari. Non ho scelto, in altre parole, piante tropicali o esotiche, ma figure di cui avessi avuto esperienza diretta, visiva, tattile. Per esempio, la cicuta, che spesso si può osservare nei campi, in grande quantità. Questo perché, come le piante invadono il nostro campo percettivo senza quasi rendercene conto, così le relazioni che viviamo in maniera tossica ci scivolano addosso, automaticamente, blandamente. Certo, a volte lasciano traccia in maniera più forte: dipende dal contesto in cui germinano o dal coefficiente di investimento emotivo (se si tratta cioè di rapporti sentimentali, d’amicizia oppure professionali). Ho tentato quindi di astrarre, o meglio di metaforizzare, questa necessità tramite una flora venefica: i nostri comportamenti diventano in sostanza i “residui clorofilliani” di una sorta di ancestrale ego discendente a sua volta dalle piante, prima forma di organismo vivente. Rimasugli vegetali che ci portiamo dietro e che sfoderiamo all’occorrenza, quando ci sentiamo attaccati.

Proviamo a fare un passo indietro. Da quali suggestioni nasce il lavoro?

Tutto parte da un’osservazione. Durante i mesi di pandemia, ho tenuto dei corsi di programmazione su Roblox – piattaforma che ricalca la struttura di un metaverso – per un gruppo di 6-8 ragazzine tra i 9 e gli 11 anni. Era per loro uno spazio e un tempo collettivo per reagire all’isolamento domestico. Alla prima ora di spiegazione seguiva una seconda ora di gioco. Questo, insomma, il pretesto. Le guardavo giocare, senza un particolare scopo. Ma spesso gli spunti creativi arrivano da sé. Si scervellavano, si struggevano, si lambiccavano letteralmente il cervello per trovare outfit che fossero idonei alle rispettive identità digitali. Al di là di tutta la sub-cultura legata a Roblox, mi impressionò – durante il game play – notare come spesso molte di loro uscivano incontrando determinati avatar, qualificati come “cattivi”. Ho avuto modo di veder insorgere e svilupparsi in quell’ambiente atteggiamenti tossici. Da lì è discesa tutta una ricerca specifica sul gaming. E ho scoperto che i giochi più utilizzati, in particolare da un’utenza di giovani ragazze, erano quelli di danza sincronizzata collettiva, molto entertaining e potentemente comunicativi. L’elemento è poi permasto in Dance Dance Dance. Lo spettatore può infatti chattare online, interagire: compare la classica nuvoletta e puoi conversare con un altro avatar. L’elemento di comunicazione nei videogiochi si è sviluppato tantissimo, specie nei multiplayer.

La chat, quindi, come ulteriore metafora di relazione.

Sì, o quantomeno metafora di un’osservazione. Osservazione del modo in cui si sviluppa una relazione (tossica e non) all’interno di un metaverso e di come l’avatar riesca a influire sulla percezione dell’altro.

Nelle nuove tecnologie tu rintracci il tuo “spazio d’elezione: hortus conclusus o Eden della ricerca performativa?

Io utilizzo molto spesso le nuove tecnologie per esprimere o sviluppare una ricerca in atto. Mi danno l’opportunità di inserire all’interno dei miei lavori molteplici piani, argomenti. Mi viene… naturale. Si celano nel digitale molteplici risorse: non a caso me ne servo principale medium espressivo, talvolta ibridandolo con forme tradizionali. Talvolta la “digitalità” pertiene al processo, talaltra all’esperienza. Dipende da ciò che voglio dire, comunicare. In alcuni momenti del mio percorso ho sfruttato l’ambiente del videogioco – pensiamo non solo all’ultima creazione ma anche a Loading Instructions (Mansplaining) del 2021 -, in altri la stampa 3D, che genera una scultura, un oggetto tangibile. Mentre nel primo caso il digitale impatta sulla dinamica fruitiva, nel secondo diviene elemento di una più articolata scrittura della scena, ma la liturgia spettatoriale resta consueta. Dipende da quanto desidero che il lavoro sia immersivo: con la VR la penetrazione dello sguardo muta tantissimo; con Roblox, invece, è l’interattività ad essere altissima. Dipende – come dicevo – da quanto voglio coinvolgere il mio interlocutore.

Intervista a cura di Matteo Tamborrino