Nel 2008 è nato il desiderio di creare e avviare un progetto univoco che potesse fornire un valido sostegno alla circolazione/mobilità/ospitalità/visibilità dell’arte contemporanea. La Sardegna fa parte di un magnifico territorio luogo di ‘resistenza’ e ‘attivismo culturale’ nel bacino mediterraneo, un’isola isolata in cui poter sostenere la ricerca e la promozione dell’incontro e il confronto tra artisti, creando un’opportunità con il territorio che si realizza in progetti di spettacolo dal vivo, formazione, seminari, produzione e coproduzione, residenze artistiche.
Nell’ottica di un amore autentico per la cultura, della stabile destinazione di risorse adeguate in progetti pluriennali, di scelte delle linee artistiche coerenti con l’identità della Tersicorea, l’obiettivo primordiale come impegno sociale e ambientale – denominatore comune della progettualità che è andata a configurarsi-, è quello di rafforzare il rapporto con la collettività, di garantire la mobilità di opere e artisti in percorsi i cui effetti si riflettono nel tempo, e ancora, di garantire la visibilità di opere in trasformazione rappresentate e da rappresentarsi durante le fasi di creazione fino alla massima espressione della loro bellezza e particolarità. L’approccio antropologico fa sì che gli artisti, attraverso un programma condiviso, possano rendere visibile il loro percorso creativo che ‘rivive’ così in un contesto di comparazione e dialogo intergenerazionale.
Il progetto crea e consolida le basi di una dimensione culturale e artistica sempre aggiornata, unita ad una profonda memoria storica che funziona come cassa di risonanza per le azioni artistiche intraprese nei luoghi e spazi urbani o extra urbani facenti parte del grande patrimonio culturale della Sardegna, condizione che ha determinato rapporti e peculiarità diverse e fondato le basi per una dialettica tra l’artista e il pubblico, tra l’artista e il territorio. La presenza di un elemento indennitario forte, quale il patrimonio geografico e culturale della Sardegna, ha costituito e costituisce l’elemento fondamentale per innescare un percorso virtuoso di sviluppo economico-culturale.
Ho sentito questa urgenza globale che non poteva svilupparsi se non attraverso la fondazione di una rete di dialogo indipendente, quale il Network Med’Arte, nata nel 2008. La strategia adottata è quella del decentramento dell’arte, quindi la fondazione di punti d’incontro artistico, di scambio di esperienze individuali e collettive e di relazioni tra artisti europei con il pubblico del territorio regionale e locale. Ecco che magicamente si consolidano le basi per la creazione di un circuito virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela dei beni ambientali e occupazione. La collaborazione ha dato luogo a iniziative condivise e partecipate, in cui l’occupazione insieme a democrazia/scambio e nuove opportunità, mi hanno indicato la strada per la sostenibilità che ha favorito la nascita di un nuovo asse di promozione e diffusione dei luoghi preposti per lo sviluppo dei progetti basati sulla valorizzazione delle eccellenze e sul potenziamento di nuovi flussi di scambio culturale, con conseguenti benefici per la comunità. Il quid è continuare ad agire riorganizzando gli spazi, urbani e non, facendo emergere nuove pratiche di cooperazione e competizione, nuove espressioni culturali transnazionali e translocali e azioni di sviluppo integrate e condivise che richiedono ed evocano nuove prospettive teoriche, nuovi immaginari culturali, nuovi orizzonti di frontiera.
Simonetta Pusceddu, direttrice artistica Tersicorea/Officina delle arti sceniche e performative
A dieci anni di distanza dalla nuova vocazione dell’antica lavanderia dell’Ospedale Psichiatrico di Collegno, abbiamo scelto di cominciare a raccogliere dati e informazioni sul nostro Centro di Residenza, provando a sistematizzarli in un Bilancio di Missione del primo triennio. Il racconto si compone di numeri e parole ma anche di esempi concreti che intendono descrivere un modello operativo e aprire un dibattito sul ruolo delle Residenze Artistiche nell’articolato sistema dello spettacolo dal vivo.
Le Residenze Artistiche sono sempre più riconosciute da operatori, artisti, studiosi, comunità e policy maker quali potenziali spazi di incontro fra soggetti che concorrono, a vario titolo, allo sviluppo e al sostegno di progettualità artistiche e culturali. Sono pertanto luoghi di contaminazione fra linguaggi, prospettive e saperi, e organismi guidati da specifiche traiettorie, visioni e poetiche del contemporaneo, capaci di incoraggiare preziose esperienze di confronto. Di qui la necessità di descrivere, entro il più vasto contesto italiano – contraddistinto da situazioni eterogenee per struttura, dimensioni e operatività – i tratti teorici e gli impatti del modello che abbiamo sperimentato attraverso una collaudata pratica e di un indefesso lavoro sul campo.
Il punto di partenza è stata la definizione degli obiettivi del nostro Centro di Residenza quale spazio di incontro e opportunità per l’intera filiera dello spettacolo, dagli artisti al pubblico. Abbiamo poi voluto metterci in relazione e a confronto con altri modelli che, al di là di quanto stabilito dal dettato istituzionale, sembrano dischiudere ulteriori potenzialità per le Residenze Artistiche nel più vasto panorama europeo, caratterizzato da nuovi centri culturali, hub translocali, incubatori e spazi di mediazione in quanto agenti del cambiamento.
In questo bilancio troverete non solo il racconto dell’evoluzione di un luogo esperienziale e trasformativo, ma anche quello della maturazione di un modello organizzativo che ci ha permesso, in questi anni, di sviluppare conoscenze connettive tali da qualificarci come realtà flessibile, dinamica, aperta.
Matteo Negrin, Direttore Fondazione Piemonte Dal Vivo e Lavanderia a Vapore
Conosco le ragazze e i ragazzi della quarta B liceo scientifico da molto tempo: fin dal primo anno. Avevano quattordici, quindici anni; ora sono maggiorenni, in gran parte. Le ho viste crescere, queste persone – letteralmente: ora mi superano in altezza (non che ci voglia molto). Le ho viste nei giorni grigi di settembre e ansia, di novembre e noia, di maggio e stress, di giugno e gioia.
Le ho viste, forse meglio, proprio nella scorsa primavera, nei mesi del primo lockdown, della scuola a distanza, della sparizione dei corpi altrui. Loro si collegavano online; ma raramente accendevano la camera per mostrarsi. Come milioni di altri studenti e studentesse. Come io stesso avrei forse fatto, se avessi potuto. Ma io le vedevo comunque, queste persone.
Le vedevo perché avevo chiesto loro di scrivermi: di raccontarmi, settimana dopo settimana, il loro viaggio immobile nelle terre incognite della pandemia. E loro avevano accettato; parlandomi, come direbbe Dante, di cose “che ‘l tacere è bello, sì com’era ‘l parlar colà dov’era”.
In quello stesso periodo ha preso corpo il progetto i cui esiti sono appena stati sottoposti al vostro ascolto. Un lungo lavoro di preparazione, condotto, oserei dire, con ostinata fede. Tra sirene d’emergenza, quotidiani bollettini del contagio, dpcm notturni, aperitivi su Zoom e “ne usciremo migliori”.
In un mondo siffatto, parlare del ruolo delle arti; parlare di corpi, di partecipazione, di questioni di genere. Quando, si sa, sono ben altre, le priorità. Soprattutto, pro-gettare qualcosa (se stessi?) in un futuro.
Perché farlo? Direi anzitutto: non lo so. Ho seguito, d’istinto, credo, la silenziosa consonanza tra le scuole chiuse e i teatri vuoti.
E poi no, forse una piccola risposta ce l’ho. È che si è parlato tanto della scuola: di quella a distanza, brutta ma inevitabile; e di quella in presenza, sì bella e perduta. Sperando di tornarvi quanto prima. Dando per scontato che fossero diverse.
E invece no: non sono così diverse. Come non c’è nessuna differenza profonda tra un libro dimenticato a casa o lasciato nella cartella, o lasciato chiuso sul banco, così non c’è poi così tanta differenza tra un corpo lontano o nella medesima stanza, se esso non viene messo al centro di una attenzione esplicita e se non viene dispiegato coscientemente nell’esperienza.
Paradossalmente, questo anno e mezzo di scuola a distanza ci hanno consegnato, oltre a una maggior dimestichezza con i mezzi digitali (come vedete, abbiamo fatto una web-radio) un periodo di solitudine enormemente vasto. Al punto che, possiamo dire, l’assenza si è fatta essenza: una pietra di inciampo, da cui ripartire. Non per tornare indietro, al passato; ma per muovere altrove, verso la riscoperta del suo opposto, ossia di ciò che abbiamo perduto, lungamente agognato, e mai davvero conosciuto: la presenza dei corpi.
E se i corpi non sono meri oggetti, ma soggetti, dotati di vita, di desiderio, di spinta all’azione, la loro riscoperta è anche una riscoperta della libertà. E di libertà, qui – con il carico di rischio e responsabilità che comporta – ce n’è stata tanta.
La libertà di farlo, questo progetto – e di ciò ringrazio Mara Loro, Doriana Crema e tutta la Lavanderia a Vapore.
La libertà, poi, di lasciarlo andare, affidandolo alle acute intelligenze di Salvo Lombardo, Viviana Gravano e Giulia Grechi: grazie anche a loro, per avermi consentito questa perdita di controllo – così difficile per un insegnante.
Infine, la libertà che le studentesse e gli studenti hanno voluto e saputo insegnarsi nell’esplorare quest’altra terra incognita, ossia la realizzazione di questo progetto. Esso rispecchia cosa hanno voluto dire, e come hanno inteso farlo.
Ringrazio queste persone perché in questi mesi, mentre le seguivo un po’ di nascosto, le ho viste imparare a misurarsi con l’ignoto – un apprendimento che riguarda anche me. Le ringrazio perché le ho viste crescere: non solo in altezza, ma anche, e soprattutto, in estensione.
L’edizione 2020 del festival Interplay LINK di Torino si è necessariamente dovuta svolgere in gran parte a distanza, in modalità streaming: a novembre ho condotto con Sara Sguotti e Teodora Castellucci le due serate, totalmente ripensate per la fruizione online. Questo format, composto dalla visione di uno o più video brevi (nel caso di Sara Sguotti anche di un work in progress) unito a un Q&A con gli spettatori, ci è parsa un’opzione gradita al pubblico affezionato da troppo tempo lontano dai teatri (ma che continua ad aver fame di spettacoli e di ricerca) e al tempo stesso può intercettare un nuovo pubblico che non può frequentare fisicamente i festival, in primis per motivi di distanza ma anche per la poca tenitura degli spettacoli.
Forte di questa esperienza, all’inizio dell’anno, la direttrice artistica Natalia Casorati ha lanciato la prima edizione del bando Interplay Stilldigital che propone un sostegno produttivo a progetti che uniscono la danza contemporanea con le piattaforme digitali. Nel bando veniva espressamente richiesta la collaborazione con un videomaker per la realizzazione di un video di 30 minuti da presentare in modalità streaming durante l’edizione 2021 del festival.
Ho avuto la fortuna di far parte della giuria – insieme a Antonio Pizzo, Laura Gemini, Natalia Casorati, Francesca Pedroni, Carlotta Pedrazzoli e Valentina Tibaldi – e la possibilità di vedere tutti i video dei progetti (circa 60, compresi 8 nella categoria “giovani”) che si sono contesi il premio del pubblico, basato sui Like ricevuti sul sito di Interplay.
Rispetto a questa selezione, il primo dato da sottolineare è la presenza tra i candidati di nomi importanti del panorama nazionale della danza contemporanea: dai maestri alla nuova generazione di “danzautori” fino ai giovanissimi venuti fuori dalle ultime vetrine e residenze. Questi curricula variegati hanno permesso diversi approcci alle nuove piattaforme digitali.
C’è chi ha optato per la forma documentaristica, andando a raccontare il making of dei propri spettacoli ma anche il rapporto della danza con le città e i paesaggi naturali. C’è chi si è ispirato all’esperienza della videodanza attualizzandola con le possibilità dei nuovi mezzi digitali, che permettono riprese più dettagliate e movimenti di macchina più ricercati. Alcune proposte si sono concentrate sulle possibilità “danzanti” della videocamera, per un nuovo rapporto fra corpi e mezzo digitale.
Reputo che gli esperimenti più interessanti siano stati quelli che si sono posti la questione della piattaforma da utilizzare attualizzando la propria ricerca coreografica e soprattutto cercando di mettere “in crisi” l’occhio dello spettatore, sicuramente meno libero nella fruizione video ma anche più disposto a mettersi in gioco grazie alle possibilità del digitale.
Dopo un lungo e stimolante confronto tra tutti i giurati, Giselda Ranieri e il Collettivo Diane si sono aggiudicati il premio di 4000 euro di sostegno alla produzione con il progetto RE_PLAY WIRELESS CONNECTION “per la capacità di mettere in relazione spazio scenico e spazio mediale tra sperimentazione coreografica e riflessione sul formato digitale”. Il premio “Off”, rivolto a giovani coreografi di area piemontese (1000 euro) è andato a Giulia Cervelli e Tommaso Cavalcanti con AFTER, “per l’utilizzo dello spazio urbano e del video sul tema della solitudine in periodo pandemico”. I due spettacoli digitali verranno trasmessi in streaming il 24 maggio alle ore 21 durante una serata del festival Interplay 2021.
Menzione speciale a Claudia Caldarano e Giulia Lenzi con il progetto RIFLESSIONI “per l’originalità della ricerca giocata sulla deformazione dell’immagine e su una qualità danzante del montaggio”. Il video verrà trasmesso nella serata di Interplay 2021 dedicata alla premiazione.
Infine, ci è sembrato giusto segnalare Marco Augusto Chenevier / Association Compagnie Les 3 Plumes e Andrea Carlotto con SYNERGEYA AUGMENTED PROJECT “per la consapevolezza della dimensione performativa del digitale, che può trasformarsi in “rito contemporaneo” potenziando l’interazione con lo spettatore e il coinvolgimento del pubblico online” e Opera Bianco e Fabio Tomassini con PHANTASMATA “per la limpidezza compositiva che distilla elementi archetipici dell’espressione coreografica e per il linguaggio video che richiama le origini dell’immaginario cinematografico”.
Come dimostrano anche altre iniziative realizzate negli ultimi tempi, quali i bandi “Residenze digitali” promosso dal Centro di residenza della Toscana e “BUGS” promosso da alcune residenze artistiche sempre toscane, credo che ormai la strada sia segnata e queste nuove esperienze accompagneranno la visione teatrale tradizionale stimolando la ricerca e la creatività e soprattutto intercettando nuovi spettatori.