Pensieri sconnessi e parcheggi per Racconigi, Olivier Dubois e il valore del corpo di un’artista
Il 18 marzo scorso Mirco Spadaro, blogger della redazione itinerante di We Speak Dance, ha visto al S.O.M.S. di Racconigi MY BODY OF COMING FORTH BY DAY, in replica il giorno successivo al Teatro Toselli di Cuneo.
Per questo nuovo spettacolo, Olivier Dubois è solo sul palco. Azionando qualsiasi artificio o rete di sicurezza, è vittima consenziente di un gioco che ricorda a turno un’udienza in tribunale, un peep show e una vivisezione. Il coreografo e ballerino, seguendo un percorso casuale costruito dal pubblico secondo regole prestabilite, rivisita alcuni dei sessanta spettacoli a cui ha preso parte dall’inizio della sua carriera. Ispirato dall’antico Libro dei morti egiziano intraprende un viaggio attraverso un mare di frammenti di danza alla ricerca dell’artista, scrutando il corpo dell’esecutore per scoprire cosa rende un capolavoro e leggendo dalle sue viscere i segni del destino. Una stella è rinata!
creazione e interpretazione Olivier Dubois
luci e suoni François Caffenne
produzione Compagnie Olivier Dubois I COD
coproduzione Festival BreakingWalls / Le Caire – Le CENTQUATRE-PARIS
Spumante? Sigarette? Lo spettacolo non è ancora iniziato; siamo a Racconigi e stiamo per vedere Olivier Dubois, Pour sortir au jour, My body of coming forth by day. Ci siamo venuti in macchina, io e la Giorgia, e a trovar parcheggio abbiamo fatto non poca strada. No dai, non sedetevi lì, più vicino, s’il-te-plaît. Come si dice una sigaretta in francese? tu as une cigarette, s’il-te-plaît? Ecco tieni; è una sigaretta italiana. I-ta-lia-na; in Francia costano undici euro, un-di-ci. La gente scavalca le frontiere per pagare meno le sigarette, già. Dubois ci accoglie, ci sediamo attorno a lui; indossa degli occhiali per leggere.
«Buonasera, sono felice e onorato di essere tra voi, di fronte a voi, questa sera a Racconigi! Per l’occasione mi sono messo in ghingheri; vi voglio far notare il mio nuovo e bellissimo costume acquistato al Cairo; è un po’ approximatif, molto usato. È fatto per questa sera. Questa sera. Questa sera per ergere alla luce. Questa sera per ergere alla luce il mio corpo; il mio corpo come il libro dei morti, come lunga memoria. Conservo dentro di me migliaia di movimenti, gesti, emozioni, litri di sudore e sangue. Centinaia di ferite e cicatrici. Un sacco di felicità e di dolore. Cosa è rimasto di tutto questo? Dove possono condurmi le memorie del mio corpo? […] Noi, artisti, potremmo considerarci delle opere d’arte per il semplice fatto che i nostri corpi sono la sostanza delle arti performative, degli spettacoli dal vivo e, quindi, della danza. Se così fosse, quanto lo valutereste? […] Vi propongo un gioco, che potrebbe trasformarsi in un tribunale, un’indiscrezione sicuramente. Iniziamo a giocare».
“Agitateur de la scène contemporaine française, Olivier Dubois a signé ces dix dernières années quelques- unes des œuvres chorégraphiques les plus radicales. Directeur du Ballet du Nord de 2014 à 2017, élu l’un des vingt-cinq meilleurs danseurs au monde en 2011 par le magazine Dance Europe, il jouit d’une expérience unique entre création, interprétation et pédagogie”. Direttore del Ballet du Nord dal 2014 al 2017, eletto tra i venticinque migliori danzatori del mondo dal magazine “Dance Europe” nel 2011; Karine Saporta; Angelin Preljocaj; Jan Fabre; Dominique Boivin; Sasha Waltz; il “Cirque du Soleil”; Bérangère Jannelle; “Balletto Nazionale di Marsiglia”; l’Opera di Vienna, la Scuola Nazionale di Danza di Atene; la Compagnia di Balletto dell’Opera del Cairo: Troubleyn/Jan Fabre, il Balleto Preljocaj; la Scuola di Belle Arti a Monaco.
Quanto vale il corpo di un artista?
Non credo mi piacciano le sigarette accese nei teatri. Mentre siamo seduti ai bordi del palco, Olivier Dubois ha 50 anni. Ce lo ricorda lui seduto dietro la sediola, il mixer ed il computer; prima ci ha offerto sigarette e spumante. Ce lo ricorda il suo corpo, la sua pancia; quasi ne mostra di più. Abbiamo rifiutato le convivialità, ma ci siamo comunque sentiti a casa; sarebbe stato difficile il contrario: il palco è un luogo dove difficilmente non ti senti a casa. Inizia così la dissezione del corpo di un’artista: ha un odore acre, un po’ di carne che va a male e di fumo che s’accumula sotto la lingua: è di una bellezza spettacolare, quest’artista che si fa a pezzi per noi. Grotowsky diceva che l’attore è un uomo che, lavorando in pubblico con il suo corpo, lo dà pubblicamente. Ciò che colpiva allora quando si pensava al mestiere dell’attore, era il 1968, era il suo squallore: l’appalto su un corpo che viene sfruttato dai suoi protettori, i direttori e i registi, cosa che a sua volta fomentava un’atmosfera d’intrighi e di ribellione. Olivier ha denudato il suo corpo per noi; abbiamo scaglionato la sua memoria, quella privata e quella pubblica, per quasi due ore: da buste a caso prendevamo lo spettacolo, da altre buste a caso la musica; lui ballava per noi e qualcun altro lo spogliava. Io ho preso il suo anello; me l’ha messo all’anulare, Dubois, che sembrava un matrimonio; l’ho poi restituito; pesano gli anelli degli artisti, manco avessero da percorrere all’incontrario tutta la strada verso il monte Fato. Pensavo fosse un elemento del costume: credo non lo fosse.
Abbiamo visto Olivier muoversi per noi fino allo sfinimento, danzare fino all’infarto; ci ha chiesto, sudato e ansimante, se volessimo il bis. Noi abbiamo risposto di sì, e quasi il teatro s’è fatto un po’ maniacale: la bellezza incognita delle cose inaspettate indossa spesso una crudeltà un po’ affettata; chi recita da tanto tempo un po’ lo sente addosso, questo tessuto. «non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile», avrebbe detto Artaud; non è crudeltà o sadismo, più un rituale magico: un dissacrante spogliarello dell’anima che ci ricorda dei vestiti che abbiamo addosso, a suo modo, come solo lo spettacolo dal vivo sa fare, il prodigio per cui anche una bestemmia est modus per ricordare et amare Dio.
«Raccontare la mia privacy è di poca o nessuna importanza. Ciò che invece il mio corpo e la mia memoria possono scatenare come sensazione intima in chi la osserva è l’essenziale. È qui che l’arte è forse l’atto più democratico. Poiché la ragione del processo artistico, il libretto in un certo senso, è irrilevante, è importante solo la percezione intima dello spettatore. E qualunque sia questa percezione, è legittima ed equa. Non ci sono interpretazioni errate di un’opera. Il lavoro appartiene solo allo spettatore!», Olivier Dubois in un’intervista a Michele Olivieri.
Finito lo spettacolo m’è sembrato di rompere un bicchiere, come se dovesse esserci dentro ancora qualcosa; credo sia perché questo genere di rappresentazione non ha una vera e propria fine: ti lascia sete. Io e Giorgia siamo andati dopo a berci un qualcosa, dopo; ne abbiamo parlato. Le spiego che non sono convinto che abbia senso domandarsi quale sia il valore del corpo di un artista; è una domanda un po’ retorica, dico, quasi pretenziosa. L’arte – concordiamo che il corpo di un artista sia arte – ha valore solo per chi la compra. Però me lo domando; ecco, se c’è qualcuno che forse poteva dargli una risposta, ecco, quello era Dubois stesso; qual è il valore del corpo di un artista per un artista? Ci rifletto; non è una domanda che porrò perché non è una domanda a cui voglio una risposta.
Mentre in macchina torno a vedere le luci della collina di Torino, penso che sia tardi, che Dubois è una sirena, che We Speak Dance sia quasi finito, che i corpi si muovono, si muovono costantemente, anche se le ruote sull’asfalto si fermano e i pensieri sono sconnessi.
Oh, don’t you stop (Don’t stop, you’re moving me) Baby, don’t stop (Don’t stop, you’re moving me) Don’t stop (Don’t stop)
You’re moving (You’re moving, you’re moving me).